mercoledì 23 novembre 2011

Tra governo e Pd c’è il macigno Marchionne

L’uragano Sergio Marchionne torna a spaccare i sindacati e, soprattutto, a travolgere la sinistra, portando con sé il fragile equilibrio dei rapporti tra Pd e il nuovo governo. Il manager promette accordi «moderni» e assicura che non ci sarà alcuna «riduzione della forza lavoro». La decisione di lunedì, ha minimizzato l’ad della Fiat, è «la logica conseguenza della scelta fatta con l’uscita da Confindustria».

Sta di fatto che l’annuncio ha immediatamente riacceso la conflittualità sul mercato del lavoro che Mario Monti intende riformare seguendo l’agenda Ichino, prospettiva che dentro a buona parte del Pd è vista come fumo negli occhi. Da una parte ci sono i neo ministri dello Sviluppo e del Welfare, Corrado Passera ed Elsa Fornero, chiamati a gestire il riacutizzarsi della tensione. Dall’altra c'è la Fiom, che reagisce duramente all’accelerazione impressa da Torino, e le varie anime della sinistra, che oscillano dall’indignazione di quella radicale alla critica un po’ imbarazzata di quella “di governo”. Fuori dal conflitto restano le altre sigle sindacali, pronte a sedersi al tavolo della trattativa per siglare un nuovo contratto ad hoc.
La Fiat, mette nero su bianco Marchionne, si impegna «a definire al più presto possibile con le organizzazioni sindacali accordi più moderni». La lettera di lunedì «ha un aspetto esclusivamente tecnico». Non è che «la disdetta formale degli accordi in vigore, alcuni dei quali risalenti agli anni '70», ricorda il manager, aggiungendo che «non avendo ridotto la nostra forza lavoro nel momento peggiore della crisi, non intendiamo farlo ora che stiamo lavorando alla realizzazione delle condizioni per crescere nel futuro».

Il governo, per ora, prova a svicolare. «È una questione delicata che va trattata con grande attenzione», sintetizza la Fornero. Mentre Passera preferisce non commentare il passo del Lingotto, limitandosi ad assicurare il suo impegno per risolvere il nodo della riconversione di Termini Imerese, «una delle gradi questioni aperte». Manovre evasive che piacciono poco al leader delle tute blu della Cgil, Maurizio Landini. «Se il governo ha qualcosa da dire di diverso dal vecchio, lo faccia. Il tempo delle ipocrisie è finito», scandisce, annunciando uno sciopero di due ore entro il 29 novembre e la convocazione del comitato centrale per valutare l’ipotesi di uno sciopero generale. Ancora più battagliera la sinistra radicale. Marco Ferrando (Plc) propone di «espropiare» la Fiat. Massimiliano Smeriglio (Sel) parla di «decisione sconcertante». Nel Pd, con un po’ di imbarazzo, si definisce la mossa di Marchionne «una scelta sbagliata nel momento sbagliato». Più diplomatico l’ex ministro Cesare Damiano, che preferisce spostare l’attenzione sulla questione tecnica delle rappresentanze sindacali che saranno tagliate fuori dall’annullamento degli accordi. Passera non parla, ma dovrà sciogliere in fretta il nodo Termini Imerese. L’incontro di oggi tra governo, azienda, sindacati e il compratore Di Risio potrebbe non essere risolutivo. E domani gli stabilimenti siciliani della Fiat chiuderanno definitivamente i battenti.

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