giovedì 17 novembre 2011

Sberla a Finmeccanica. E l’Italia perde il treno

AAA ex colosso pubblico vendesi. Dopo settimane, se non mesi, di indiscrezioni e comprensibili smentite, Finmeccanica esce allo scoperto e annuncia ufficialmente il robusto piano di dismissioni. Una scelta obbligata, considerata non solo la significativa flessione dei conti, ma anche l’incessante bombardamento mediatico-giudiziario sulle inchieste che coinvolgono il gruppo. «Sono tempi straordinari che richiedono interventi straordinari». Tocca all’ad Giuseppe Orsi pronunciare le parole che, di fatto, chiudono una fase. Quella in cui il colosso della difesa e dell’aerospazio macinava utili su utili e allargava a vista d’occhio il suo perimetro e il suo raggio d’azione con acquisizioni, partnership e valanghe di commesse.

Ora per Finmeccanica si apre una stagione faticosa. Di riordino delle attività, di razionalizzazione dei costi, di risalita sui mercati. E, forse, di uno spezzatino che potrebbe mettere a rischio gli equilibri e la tenuta del più grande gruppo manifatturiero italiano, ultima roccaforte dell’industria controllata dal Tesoro.
Chi conosce bene, e dall’interno, il business del gruppo sostiene che il fulmine non sia proprio a ciel sereno. E che Finmeccanica stesse viaggiando di rendita da un bel po’, forse sottovalutando il progressivo assottigliarsi degli ordini, gli effetti della congiuntura economica internazionale e i prevedibili tagli del governo al budget per la Difesa.
Resta il fatto che solo adesso, dopo una lunga serie di esercizi in utile, si preannuncia un 2011 all’insegna delle perdite. I primi nove mesi dell’anno sono stati archiviati con un risultato negativo per 324 milioni (rispetto ai 321 di utili del 2010) e quella di fine anno «sarà significativamente più alta» rispetto a quella registrata al 30 settembre. A pesare sul risultato del periodo è stato, in particolare, il peggioramento dell’ebita, negativa per 188 milioni di euro rispetto agli 856 milioni positivi dei primi 9 mesi del 2010. Un peggioramento riconducibile all’aeronautica, per oneri di natura non ricorrente pari a 753 milioni di euro, connessi al programma del Boeing 787. Male anche i ricavi, diminuiti del 5% a 12,2 miliardi, e gli ordini, calati addirittura del 21% a 10,6 miliardi.

Il primo, inevitabile, provvedimento è l’azzeramento del dividendo (che peserà anche sui conti pubblici, visto che l’anno scorso il Tesoro aveva incassato 72 milioni). Ma per risalire la china ci sarà bisogno di una cura da cavallo. E se, come ha dichiarato Orsi, l’obiettivo è quello di tornare in positivo già nel 2012 i tempi sono strettissimi. L’ad ha tentato di sdrammatizzare con un «non siamo in vendita». Ma l’elenco delle società che saranno messe sul mercato è lungo. Il deconsolidamento ormai già partito di AnsaldoBreda non sarà che una goccia. Orsi ha ammesso che non è «esclusa» un’uscita completa da tutto il settore ferroviario. Il che significa la conferma della cessione anche di Ansaldo Sts, una delle poche realtà del gruppo che ancora viaggia ad alta velocità. Nella lista degli asset cedibili c’è poi Avio (con i francesi già pronti a papparsi la quota del 14% ancora in mano a Finmeccanica) mentre per la valorizzazione di altri asset, come quello dei sistemi di difesa e dello spazio, si guarda a partnership internazionali. Il tutto, ha quantificato il direttore finanziario Alessandro Pansa, dovrebbe permettere di portare a casa risorse per oltre un miliardo, che saranno destinate alla riduzione dell’indebitamento (oggi sopra i 4,6 miliardi).
Accanto allo spezzatino, Orsi intende procedere alla ristrutturazione dei settori dell’aeronautica e dei trasporti e alla riorganizzazione dell’elettronica della difesa, che vedrà la nascita della cosiddetta Super Selex. Ci sarà poi la riduzione dei costi di struttura e una razionalizzazione degli investimenti, nel rispetto dei criteri di sostenibilità finanziaria e di ritorno sul capitale.
Orsi è convinto che Finmeccanica, malgrado le difficoltà, abbia davanti «un brillante futuro». Le sue parole hanno però seminato il terrore in Borsa e lo sconcerto tra i sindacati.
A Piazza Affari le azioni del gruppo hanno ballato per tutto il giorno. All’avvio delle contrattazioni, il titolo non è riuscito a fare prezzo. Una volta riammesso, è arrivato a perdere oltre il 16% e, tra diversi passaggi in asta di volatilità, ha chiuso con un crollo del 20,33% a 3,57 euro.

Ancora più spaventati, se è possibile, i sindacati. La Fim Cisl ha espresso «forti preoccupazioni» per i conti. Ma sono soprattutto le linee guida del piano a suscitare più dubbi. Troppe volte, ha detto il segretario nazionale Marco Bentivogli, «abbiamo difeso pezzi e prodotti del sistema Finmeccanica che andavano prontamente liquidati (vedi anche AgustaWestland) e che hanno poi consentito importanti risultati per il gruppo». Dalle linee guida del piano, ha detto il sidnacalista, «emerge una Finmeccanica fortemente ridotta nelle dimensioni e che esce dalla gran parte dei settori in cui è oggi presente. Comprendiamo le difficoltà congiunturali e specifiche e non intendiamo eluderne la soluzione, ma riteniamo che ci siano più strade per affrontarle». Ancora più netto il no della Uilm. ««Se Finmeccanica si riduce solo all’aerospazio e difesa, è destinata gradualmente a ridimensionarsi e a perdere il ruolo che ha in questo grande Paese e su questo non siamo d’accordo», ha detto il segretario nazionale Giovanni Contento. Invita a «tenere i nervi saldi», infine, la Fiom, che chiede l’immediata apertura di un tavolo di confronto con l’azienda. «Pensare che attraverso la cessione di parte rilevante nel patrimonio industriale del gruppo si possa risolvere una fase di evidente e grave difficoltà», ha denunciato senza mezzi termini il coordinatore del sindacato in Finmeccanica, Massimo Masat, «è solo frutto di miopia».
Qualcuno, sommessamente, fa anche notare che l’azionista di maggioranza del gruppo resta il Tesoro e che il governo dovrebbe occuparsi della vicenda. Le grane sul tavolo di Mario Monti, a quanto pare, si accumulano.


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