martedì 1 febbraio 2011

Barile a 101 dollari. E non finirà qui

L’importante, durante le fasi di forte tensione economico-finanziaria, è la chiarezza. Alle 12 circa di ieri il commissario Ue all’energia, Gunther Oettinger, assicurava: «Non dovrebbero esserci ripercussioni sui prezzi del petrolio dalla situazione in Egitto». Solo poche ore più tardi, verso le 17, il Brent ha toccato i 100 dollari a Londra: è la prima volta da ottobre 2008 che il greggio di riferimento europeo raggiunge questa soglia.

A scatenare il folle balzo del petrolio, oltre allo zampino del dollaro, sceso a 1,37 euro anche per i timori di una ripresa dell’inflazione in Eurolandia (+2,4% a gennaio), sono proprio le notizie che arrivano dal Cairo. In particolare i timori di una possibile chiusura del Canale di Suez, attraverso il quale transita ogni giorno qualcosa come un milione di barili di oro nero. Per avere un’idea, secondo le stime elaborate da Goldman Sachs, si tratta di oltre il 2,5% della produzione globale.
L’Opec ha già detto di essere pronta ad aumentare la quota di greggio in circolazione se la crisi in Egitto dovesse causare l’interruzione delle forniture dal Medio Oriente. «Se assistiamo a una reale carenza dovremo intensificare la produzione», ha spiegato il segretario generale dell’Organizzazione dei Paesi esportatori, Abdalla el-Badri. Ma le rassicurazioni degli sceicchi non hanno smorzato le fibrillazioni più di tanto. Dopo aver superato i 100 dollari i contratti sul greggio hanno continuato ad essere scambiati a cifre di poco inferiori.
E la corsa, secondo molti esperti, non è che agli inizi. Per il professor Alberto Clò, uno dei massimi esperti di energia in Italia, se sulle tensioni egiziane si dovesse innestare l’attività degli speculatori, anche in assenza di una domanda reale, il prezzo del barile potrebbe arrivare tranquillamente a 110-120 dollari. Che la quota sia raggiungibile è opinione anche degli analisti di Jp Morgan e Goldman Sachs. Gli esperti delle due banche d’affari sono convinti che il prezzo continuerà a salire per tutto il 2011, arrivando oltre i 120 dollari nel corso del 2012.

Ad alimentare la bufera egiziana ci ha pensato in mattinata anche Moody’s, che ha declassato il Cairo da Ba1 a ba2, con un andamento negativo. La decisione, ha spiegato l’agenzia di rating, è stata presa di fronte all’aggravarsi delle tensioni politiche. Per noi, dunque, oltre all’impatto sulle imprese attive nel Paese mediorientale, si profila anche il rischio di una valanga sulle banche. Quelle francesi (17,6 miliardi) e quelle britanniche (10,7 miliardi) sono le più esposte. Ma anche gli istituti di credito italiani, con 6,3 miliardi di dollari in ballo, non stanno molto tranquilli. Per quanto riguarda le società quotate, secondo gli analisti di Websim sono molte quelle che potrebbero avere problemi se la crisi non rinetrasse. Più delicata la situazione di Italcementi, che con il 17% dei ricavi nel Paese arabo, potrebbe avere un impatto immediato sul conto economico. 

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