martedì 15 febbraio 2011

Tremonti vuole spedire Draghi alla Bce

Difficile leggere la sortita di Giulio Tremonti dalla giusta angolatura. Quella di Mario Draghi alla Bce «è un’ottima candidatura», ha detto ieri il ministro dell’Economia dopo mesi, se non anni, di schermaglie continue, e a volte anche dure, con il governatore di Bankitalia.

I maligni sostengono che in una fase politicamente così indecifrabile come quella attuale, spedire l’inquilino di Palazzo Koch a Francoforte potrebbe voler dire un concorrente in meno per la guida di un eventuale governo tecnico o di transizione. Altri ritengono più semplicemente che la mossa non vada molto al di là del rispetto del galateo istituzionale. Un atto dovuto, insomma. Sta di fatto che dopo il tifo del Financial Times, che non ha mai smesso di sostenere la corsa del governatore per la presidenza della Banca centrale europea, al fianco di Draghi ora c’è anche il ministro Tremonti: «La candidatura è ottima e sarà sostenuta dal governo».
Di sicuro, malgrado la strada sia ancora lunga, le quotazioni del nostro banchiere centrale sembrano sempre più alte. Ieri Alex Weber, finora l’unico concorrente in campo, ha ufficializzato le sue dimissioni dalla guida della Bundesbank a partire dal 30 aprile per motivi personali. Il che conferma, con tutta probabilità, anche il ritiro della candidatura per la Bce.

Un colpo duro per la Merkel, che sembra però intenzionata a rimettersi  subito in piedi inserendo la casella di Francoforte all’interno di una partita più ampia che riguarda la soluzione della crisi europea e la nuova governance dell’Unione. Anche su questo fronte ieri si è inserito a sorpresa Tremonti, schierando l’Italia a difesa del patto franco-tedesco che finora non aveva suscitato grandi entusiasmi. Sono sempre arrivate dalla Germania, infatti, tutte le principali offensive verso il nostro Paese. A partire dall’insistenza sull’introduzione di ulteriori rigidità nel Patto di stabilità che avrebbero facilmente e velocemente fatto scivolare l’Italia nella lista dei cattivi. La svolta europeista di Tremonti, che presentando la scossa economica voluta dal premier si è rifugiato dietro gli obblighi dell’agenda Ue e la sacralità degli organismi internazionali (quelli fino a qualche mese prima frequentati da “maghi” e “stregoni”), deve aver suggerito nuove strategie.
Il patto franco-tedesco «per noi va abbastanza bene», ha spiegato il ministro, secondo il quale «l’Italia ci guadagna» dall’intesa portata avanti dal cancelliere Merkel e dal presidente Nicolas Sarkozy. Questa prevede, fra l’altro, per gli stati dell’Eurozona di abolire l’indicizzazione dei salari, di aumentare l’età pensionabile, di introdurre nelle Costituzioni nazionali limiti per l’indebitamento.

Da queste misure, che somigliano tanto ad una “scossa” alternativa a quella appena varata dal governo, l’Italia può trarre benefici, a patto che ci sia una formulazione collegiale e che si spieghi alle opinioni pubbliche che la crisi non è partita tanto dai conti pubblici fuori controllo di alcuni Paesi ma dalle banche e «in questi termini va gestita».
«Stiamo salvando l'Irlanda o le banche?», si è chiesto il ministro durante una sorta di lectio, con tanto di lavagna e dispense, davanti ai giornalisti della stampa estera, «oggettivamente non mi sembra che questo Paese avesse un problema di debito pubblico». I leader dei Paesi dell’Eurozona, molti dei quali con tripla A, ha concluso Tremonti, «non dovrebbero nascondersi dietro le loro presunte virtù di bilancio ma piuttosto spiegare ai loro elettori che buona parte della crisi del debito pubblico non fonda le radici nella spesa pubblica» ma piuttosto «nelle banche».

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