venerdì 25 febbraio 2011

La rivolta libica ci è costata 4 miliardi soltanto in Borsa

L’elemosina arrivata da Bruxelles per fronteggiare l’emergenza immigrati fa quasi sorridere. Ancor prima dell’invasione annunciata di centinaia di migliaia (ma secondo qualcuno saranno milioni) di profughi e rifugiati, l’Italia sta già pagando un prezzo altissimo per la crisi libica. L’Eni, come ha ammesso ieri l’ad Paolo Scaroni cercando di rassicurare i mercati, ha più che dimezzato la produzione nel Paese nordafricano passando da 280mila barili equivalenti a 120mila. Ancora più concreto per le tasche degli italiani l’effetto Gheddafi sui prezzi della benzina, che ieri, in particolare nel Mezzogiorno, ha raggiunto picchi di 1,55 euro per la verde e 1,44 euro per il diesel.

Ma la stangata più dura, e immediata, è quella arrivata sulle principali società in affari con la Libia. Sia quelle, come Eni, Ansaldo Sts, Finmeccanica, Saipem e Impregilo, che operano direttamente nel Paese nordafricano. Sia quelle, come Unicredit e Juventus, legate alla finanza di Gheddafi dalla presenza nel capitale di quote rilevanti detenute dai fondi sovrani del governo di Tripoli.

Ieri le cose a Piazza Affari, soprattutto per l’Eni che ha guadagnato l’1,7%, sono andate abbastanza bene, con un calo complessivo dell’indice Ftse Mib solo dello 0,1%. Ma la boccata d’ossigeno non è assolutamente bastata a recuperare le flessioni dei giorni precedenti. Da lunedì a ieri le sette aziende sopra elencate hanno perso in Borsa oltre 4 miliardi di capitalizzazione. Una stangata arrivata principalmente sul groppone di Eni, Unicredit e Saipem. Brutte notizie anche per le Pmi. Ieri la Sace ha comunicato che su 2,4 miliardi di export totale di beni e servizi delle imprese italiane operanti in Libia nel 2010 solo 13 milioni sono stati assicurati contro il rischio di eventi politici. In altre parole, potranno dire addio ai loro soldi.

© Libero