A Paolo Scaroni non è parso vero. Dopo anni di scontri e duelli con l’ormai ex presidente dell’authority per l’energia, Alessandro Ortis, l’ipotesi di un divorzio tra Eni e Snam rete gas si prepara ad uscire definitivamente di scena. L’ad del Cane a sei zampe si è affrettato ieri a dichiararsi favorevole alla separazione funzionale tra le due società, sostenendo che «il modello è stato già adottato da altri Paesi come Francia, Germania e Austria». Sul percorso, da sempre caldeggiato dal manager, non sembrano più esserci ostacoli.
La linea del governo è chiara da tempo. Sulla questione, nel luglio del 2009, ci fu anche uno scontro duro tra l’ex ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, e Ortis, quando quest’ultimo invocò per l’ennesima volta nel corso della relazione annuale la separazione proprietaria tra Eni e Snam. «Sono questioni», rispose piccato Scajola da Bratislava, «che esulano dalle sue prerogative». Al di là del merito della questione, è al ministro che spetta l’ultima parola. E quella di Paolo Romani è assolutamente in linea con quella del suo predecessore. «La decisione», ha detto il ministro, «è se prevedere per Eni la libertà di scegliere o se imporre noi il modello». Probabilmente, ha aggiunto, «quello che sceglierà Eni e quello che sceglieremo noi sarà lo stesso» e consiste «in una separazione funzionale rafforzata. In pratica Eni manterrà il controllo di Snam purché garantisca l’indipendenza decisionale e funzionale del gestore della rete gas».
Una posizione su cui si prepara a convergere anche il nuovo regolatore, Guido Bortoni, ex dirigente del ministero dello Sviluppo, che proprio in questi giorni sta presentando alle Camere il suo “programma” per assumere la guida dell’authority. A completare la sintonia istituzionale c’è infine il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che ieri ha definito la separazione funzionale «un modello legittimo, che evita il rischio di una vendita al buio, magari ad un monopolista straniero». Quella che si sta profilando è una delle tre opzioni offerte da Bruxelles in una direttiva recepita dall’Italia nel 2009 e la cui delega per Palazzo Chigi scade il 3 marzo prossimo. Oltre alla separazione funzionale, il governo avrebbe potuto scegliere la nascita di un gestore separato (proprietà delle reti, gestione affidata a un soggetto terzo) oppure la scissione proprietaria. Il dilemma di fondo è se liberare il mercato italiano (dove Snam è monopolista) o, viceversa, proteggere il ruolo dell’Eni fuori dai confini. Ortis è sempre stato convinto che con il divorzio si sarebbero ottenute entrambe le cose. «Se Snam venisse resa indipendente da Eni», ha detto qualche giorno fa il presidente uscente, «potrebbe acquisire il controllo di Tenp, Transitgas, Tag (da cui invece dovrà uscire completamente per rispettare gli impegni con l’antitrust Ue) e candidarsi come un protagonista nella creazione del sistema integrato europeo per il trasporto e lo stoccaggio del gas».
Molti sono però convinti che solo mantenendo gli attuali assetti l’Eni potrebbe continuare ad avere un rilevante peso geopolitico, considerata anche che in Europa quasi nessun competitor ha effettuato lo scorporo proprietario della rete. I sostenitori di questa tesi, ad esempio, hanno sempre considerato l’insistenza del fondo Knight Vinke (azionista con l’1%) sullo spezzatino una mossa politica volta ad indebolire l’Eni e forse ispirata dalle insofferenze del governo americano per gli stretti rapporti tra il colosso energetico e la Russia di Putin. Un sospetto rafforzato dagli studi di diversi analisti, che hanno sempre ritenuto l’integrazione verticale uno dei maggiori punti di forza dell’Eni.
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