lunedì 7 febbraio 2011

La Merkel si lamenta: «Troppe 27 teste». Poteva pensarci prima

 L’Europa a 27 non va più bene. Troppo farraginosa, troppo lenta nel decidere. E, soprattutto, troppo restia ad appoggiare le iniziative di Angela Merkel.  Dopo aver favorito e sostenuto negli ultimi 6 anni in cui ha ricoperto la carica di cancelliere il processo di allargamento dell’Unione europea (nel gennaio 2007 aderiscono alla Ue Bulgaria e Romania, nel dicembre dello stesso anno gli accordi di Schengen vengono estesi a Estonia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, e negli stessi anni è stata vagliata la candidatura di Islanda, Croazia, Montenegro, Turchia e Macedonia) la signora Merkel si è accorta che nel Vecchio Continente ci sono troppe teste.

Ad aprire gli occhi al premier tedesco è stata la bocciatura del piano proposto insieme alla Francia per rilanciare la competitività tra i Paesi dell’Eurozona. Un pacchetto lacrime e sangue che dovrebbe costringere i membri dell’euro a una forte moderazione salariale, a un innalzamento dell’età pensionabile, all’introduzione nelle Costituzioni di limiti per il deficit e a un aumento degli investimenti in innovazione e ricerca. In pratica le misure d’emergenza messe faticosamente a punto dalla Germania, che ora Merkel e Sarkozy vorrebbero rendere obbligatorie per tutti. Per gli inadempienti, questa è l’idea, ci sarebbero pesanti sanzioni. Il piano strutturale non è però piaciuto a tutti. Soprattutto ai Paesi che verrebbero definitivamente messi a margini dei processi di governo dell’Unione. 

La Merkel parla, infatti, espressamente di «cooperazione rafforzata», una procedura Ue per cui un gruppo di Stati può decidere di andare avanti da solo su determinati dossier, senza l’accordo di tutti i 27. «I problemi dell’Eurozona», ha detto chiaramente Sarkozy, in linea con la Germania, «vanno discussi a 17. E il Patto sulla competitività va discusso a 17 più quelli che ci stanno». Sarà pure vero, come dice il presidente francese, che l’obiettivo non è quello di «imporre a tutto il mondo la stessa cosa», ma di «mettersi d’accordo su criteri comuni».  Sta di fatto che la Commissione Ue, che già da tempo ha presentato le sue proposte di riforma della governance (comprese nuove regole per eliminare gli squilibri economici e aumentare la competitività di tutti i Paesi euro), è andata su tutte le furie, sentendosi tagliata fuori da un metodo intergovernativo molto lontano dal metodo comunitario.

Stesse preoccupazioni sono arrivate del presidente dell’Eurogruppo, il premier lussemburghese Juncker, che a chiare lettere ha affermato: «Non accetteremo mai l’abolizione dell’indicizzazione dei salari». Uguale la posizione del premier belga, Leterme. E nel fronte del no ci sono, tra gli altri, anche Spagna, Portogallo e Polonia. Tutti ripetono lo stesso ritornello: le decisioni si prendono a 27. La battaglia si preannuncia dura. Anche perché la Merkel ha fatto chiaramente capire che senza l’accordo su questo, l’Europa si può anche scordare il via libera al rafforzamento dell’attuale fondo salva-Stati. Resta una domanda: ma il cancelliere non poteva pensarci prima?

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