mercoledì 16 febbraio 2011

Agli operai Fiat una fetta degli utili

La Fiat non lascia l’Italia, se tutto va bene. Ma se tutto va bene Sergio Marchionne è pronto anche ad aumentare i salari portandoli ai livelli di Germania e Francia e ad avviare una qualche forma di partecipazione dei lavoratori agli utili del gruppo. Più che con ricatti e minacce, ieri l’ad del Lingotto si è presentato alla Camera con sfide ed opportunità.

Certo, ci sono molti “se”, i verbi restano al condizionale. E il manager usa molte volte la parola «scommessa». Ma è difficile vedere Fabbrica Italia come una sventura per il Paese. Nelle 58 pagine di relazione e nelle sintetiche risposte alle domande dei deputati delle commissioni Attività produttive e Trasporti Marchionne disegna un quadro in gran parte già conosciuto. Venti miliardi di investimenti previsti per l’Italia, 4 per Fiat Industrial e 16 miliardi per Fiat spa. Sette nuovi modelli, tra cui la nuova Panda, entro la fine dell’anno, 34 per il 2014. Un milione e 650mila veicoli (compresi quelli commerciali) prodotti entro il 2014 rispetto ai 650 mila del 2009. Con un fatturato che potrebbe salire a 64 miliardi, il doppio dell’anno scorso, sempre entro la scadenza del piano industriale nel 2014.

Così come Marchionne non ha potuto far altro che ribadire in Parlamento quanto già detto sul futuro dei rapporti tra Fiat e l’Italia: «Se il cuore è e resterà in Italia, la nostra sede sarà in più posti; sedi operative diverse in diversi posti. Non c’è assolutamente nulla di strano in questo: non si tratta di rinnegare le nostre radici ma anzi di proteggerle, di garantire al passato il futuro». E le cifre degli investimenti promessi, spiega il manager, che per l’occasione ha abbandonato il suo solito maglioncino blu per un più formale abito grigio con cravatta, «rappresentano il nostro impegno per l’Italia che vorremmo trasformare in una base strategica per la produzione, gli investimenti e l’export». Quanto alla sede legale, «la scelta non è stata ancora fatta». Marchionne parla di «grado di accesso ai mercati finanziari», ma poi ammette che la decisione è legata a filo doppio al progetto Fabbrica Italia. E qui il nodo, al di là delle riflessioni sulla produttività del Paese e le riforme necessarie per rilanciarla ed attrarre gli investimenti esteri, riguarda «la governabilità degli impianti e il rispetto degli accordi». In altre parole, la Fiat vuole «garanzie che gli stabilimenti possano funzionare».

Nasce da qui l’insistenza di Marchionne nel denunciare il clima di ostilità che ha accompagnato gli accordi di Mirafiori e Pomigliano «raggiunti a fatica», nel respingere «le critiche offensive ingiuste» e addirittura «demenziali». Senza spazzare via «le polemiche» di questi mesi, dice Marchionne, non si va da nessuna parte. E il futuro, invece, potrebbe riservare non solo una Fiat a regia italiana, ma anche «l’aumento dei salari», se si riuscirà «a portare l’utilizzo degli impianti dall’attuale 40% all’80%» e, soprattutto, la compartecipazione agli utili. Una svolta storica che il manager indica come «il passo successivo». Ma è chiaro, aggiunge, «che per parteciparli gli utili dobbiamo farli». E per ottenerli l’Italia deve smettere di «ostacolare il cambiamento» e di «proteggere l’inerzia». Bisogna, invece, «trovare il coraggio ad ogni livello per vedere il cambiamento come uno straordinario motore di progresso». Marchionne è ottimista.  «Nonostante tutti i vincoli e le difficoltà», dice, «siamo convinti che il nostro sistema produttivo possa e debba essere competitivo. È una sfida che si può vincere, è una scommessa».

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