lunedì 12 aprile 2010

Paolazzi: "Pechino cambia il modello di sviluppo per favorire la diffusione del consumismo"

Si è parlato tanto di Cina alla kermesse confindustriale di Parma, ma la notizia che ha spiazzato tutti è arrivata in diretta da Pechino, con l’annuncio del primo deficit commerciale del Dragone da sei anni a questa parte. «Se non ci fossero stati i comunisti per tanto tempo, la Cina ci avrebbe comprato tutti». Silvio Berlusconi ha sintetizzato così, con una delle sue battute, quello che è stato un po’ il filo conduttore della due giorni organizzata dal Centro studi di Viale dell’Astronomia. Evento che non a caso è stato preceduto da una riunione tra la consulta dei presidenti di Viale dell’Astronomia e il responsabile economico cinese, Anz Banking Group, Li-Gang, che poi ha partecipato anche al convegno. Come non accadeva dal 2004, la Cina a marzo ha registrato un deficit della bilancia commerciale di 7,2 miliardi. Cifra clamorosa, ma non così sorprendente per chi osserva con attenzione le dinamiche dei mercati internazionali. «E’ la conseguenza», spiega a Libero il direttore dell’Ufficio studi di Confindustria, Luca Paolazzi, «di un percorso che il governo di Pechino sta mettendo in atto con decisione per rilanciare la domanda interna».


Insomma, non è che i cinesi abbiano deciso all’improvviso di non inondare più l’Occidente con i loro prodotti. Si tratta piuttosto, prosegue Paolazzi, «del frutto di politiche finalizzate a migliorare le infrastrutture, a rafforzare il servizio sanitario nazionale e a modernizzare il Paese». L’obiettivo della Cina è di aumentare considerevolmente la quota dei consumi sul Pil che resta ancora molto bassa (il 35%) per un Paese con quei livelli di crescita. Richieste in questo senso erano arrivate la scorsa estate dall’amministrazione Obama, ma la cosa non potrà non fare piacere anche all’Italia. «Per noi è sicuramente un’ottima notizia», spiega Paolazzi. Due i motivi principali che ci permettono di guardare con ottimismo il nuovo trend cinese. Il primo «è che le nostre imprese, molto attive in Cina nel settore delle infrastrutture e dei macchinari, potranno cogliere importanti occasioni di business». Il secondo è che una crescita dei consumi potrà essere assorbita in parte da una produzione interna, «ma di sicuro si apriranno moltissimi spazi per quello che in senso lato può essere definito made in Italy». Certo che per permettere questo, avverte Paolazzi, «bisognerà ripensare il ruolo della Cina anche all’iterno del Wto. Pechino è entrato nell’organizzazione mondiale del commercio come paese emergente e quindi con una discreta libertà di applicare politiche protezionistiche, con dazi e tasse, che penalizzano i prodotti stranieri». Questa situazione non è più giustificabile visti i successi dell’Economia cinese (quest’anno supererà il Giappone), così come «non sono giustificabili quelle manovre sui tassi di cambio con cui il governo di Pechino difende il suo export».
 
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