lunedì 12 aprile 2010

Berlusconi insiste sulle riforme: «Più strumenti per governare»

Più ottimismo e, soprattutto, più poteri per il presidente del Consiglio. È questa la medicina per far ripartire le riforme e l’Italia. Ne è convinto Silvio Berlusconi, che ieri si è presentato davanti agli imprenditori riuniti a Parma per festeggiare il centenario di Confindustria con un elenco asciutto di punti da realizzare nei prossimi tre anni. È il cosiddetto “cantiere delle riforme”. Nell’ordine di illustrazione, che secondo lo stesso premier non coincide necessariamente con quello di realizzazione: Costituzione, fisco e giustizia. Il premier parte dalla constatazione che i Padri costituenti avevano altri pericoli da qui guardarsi e hanno moltiplicato a dismisura passaggi e filtri oggi non più necessari. «Nella nostra costituzione», dice il Cavaliere, «l’esecutivo non ha alcun potere». Un esempio? Il piano casa. «Lo abbiamo approvato più di un anno fa», spiega, «ma nessuna regione, anche quelle amiche, lo ha applicato veramente». Questo si scontra con la consapevolezza che non si può ulteriormente rinviare l’azione di modernizzazione del Paese. Ritardi ulteriori, infatti, non sarebbero compresi, dopo i proclami delle ultime settimane e gli inviti rivolti in tal senso anche dal presidente della Repubblica.

Il premier sottolinea che parlerà con tutti per trovare una convergenza sulle riforme, ma poi aggiunge che il governo «ha una maggioranza solida e coesa» e «ha i numeri per far approvare dal Parlamento un programma di riforme che i governi precedenti non hanno mai potuto fare». Il riferimento è, principalmente, al presidenzialismo. Quanto al fisco, la riforma, spiega, «è urgente, complessa e difficile». Ma il premier promette comunque: «Disboscheremo la selva delle leggi fiscali per arrivare ad un codice». Di tagli alle tasse, comunque, non si parla. Anzi, Berlusconi spiega che «il rigore del conti pubblici è assolutamente imprescindibile» per la stabilità del Paese. E noi ci siamo riusciti «grazie a Tremonti che ha tenuto i conti in ordine». Quindi, «chapeau al signor Tremonti».

Ma accanto alle note dolenti, alla consapevolezza che molto c'è da fare per far ripartire il Paese, ci sono anche motivi di speranza. «Questa crisi, pur avendo esercitato conseguenze negative”, spiega, “ha fatto venir fuori dei punti di forza come la coesione sociale o i provvedimenti anticrisi». Ed è qui che Berlusconi si aggancia per dimostrare, numeri alla mano, che il tanto decatantato declino dell’Italia non risulta da alcun confronto internazionale. In più, aggiunge, durante la crisi «noi non abbiamo consumato debito, non abbiamo fatto finanza spericolata». L’Italia, insomma, «ha le risorse e le capacità per andare avanti», ma serve maggiore «ottimismo». Con il «catastrofismo, disfattismo e pessimismo spesso alimentato dai media», conclude il Cavaliere, «non si va da nessuna parte».

La platea si scalda a tratti. Come quando Berlusconi parla della sua condizione di perseguitato dalla magistratura. Ma l’atmosfera non raggiunge mai il calore delle grandi occasioni. Gli imprenditori reagiscono poco anche quando il premier li chiama in causa facendo riferimento al loro ruolo determinante nel fronteggiare la crisi. Forse, come mormorano molti delegati, ci si aspettava un’agenda più concreta. Impegni piuttosto che suggestioni, scadenze piuttosto che promesse.
 
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