giovedì 15 aprile 2010

I giudici sciolgono i matrimoni gay

Niente matrimoni gay. E’ questo, a prima vista, il verdetto arrivato ieri dalla Corte Costituzionale. Ma la questione è un po’ più complicata, sia sul piano giuridico, sia su quello politico.
Nel dettaglio, la Consulta ha rigettato i ricorsi dichiarando inammissibili le questioni sollevate dai Tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento in relazione all’ipotizzata violazione degli articoli 2 (diritti inviolabili dell’uomo) e 117 primo comma (ordinamento comunitario e obblighi internazionali) della Costituzione. I ricorsi sono stati invece dichiarati infondati in relazione agli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio). Le motivazioni della decisione si conosceranno nei prossimi giorni e saranno scritte dal giudice costituzionale Alessandro Criscuolo. Ma già fin da ora appare chiaro che il senso della sentenza della Consulta è che la materia non è di sua competenza. «La scelta della Consulta sui matrimoni gay restituisce, come è giusto, la palla al legislatore», spiega il radicale-finiano del Pdl, Benedetto Della Vedova, che insiste da tempo per una discussione in parlamento della questione.
La gioia dei teo-con
Inutile dire che sulla decisione della Corte è immediatamente salito tutto lo schieramento “teo-con” del centrodestra, sostenendo che è stato ristabilito il diritto e che sulle nozze omosessuali ci si può anche mettere una pietra sopra. «La famiglia», spiega il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella,  «non può che essere, secondo i giudici, una società naturale composta da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio». «Mi auguro che finiscano», le fa eco la senatrice del Pdl Laura Bianconi, «queste forzature giuridiche che vorrebbero arrivare a riconoscere le coppie omosessuali andando contro la Costituzione ed il buon senso». Anche per il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, si tratta di «un pronunciamento netto che non lascia margini di incertezza».
Atteggiamento che incontra l’ironia di Della Vedova, «anziché compiacersi per lo “scampato pericolo”, penso che la maggioranza dovrebbe iniziare seriamente a lavorare sul testo Rotondi-Brunetta, che senza scomodare impropriamente l’istituto del matrimonio e senza prevedere benefici troppo generosi sul fronte della spesa pubblica, inizia a definire un quadro apprezzabile e concreto di diritti e di garanzie per i partners delle coppie gay. Siamo pur sempre il Popolo della Libertà». In effetti, la firma sotto il progetto di legge dei Didore non è di due esponenti del Pd, ma di due ministri del Pdl.
Questo non ha però impedito al testo di restare ben chiuso nei cassetti degli stessi esponenti del PdL, visto che la proposta lanciata nel 2009 non fu neanche presentata ufficialmente in Parlamento.
Del resto, finora i tentativi di  regolamentare giuridicamente le unioni civili sono tutti naufragati: dai Pacs di Franco Grillini, ai Dico del governo Prodi, ai Cus di Salvi, fino ai Didore di Brunetta e Rotondi. «Una iniziativa personale», hanno sottolineato a suo tempo i due ministri, «anche perché le unioni civili non fanno parte del programma di governo». Però - hanno anche rimarcato - non si può più rinviare una legge su un «un fenomeno che non è marginale e che riguarda le persone che a vario titolo convivono, comprese le coppie gay.
In Parlamento comunque giacciono 5 proposte di legge (3 alla Camera 2 al Senato) tutte assegnate alle rispettive commissioni Giustizia. Ma il loro esame non è stato mai avviato. A Montecitorio c’è la proposta presentata da Paola Concia del Pd che introduce e disciplina l’istituto dell’unione civile, volta a «porre i cittadini dello stesso sesso stabilmente conviventi nella condizione di scegliere quale assetto conferire ai propri rapporti giuridici e patrimoniali, come accade per tutti i cittadini». La proposta stabilisce comunque che l’unione civile non influisce in alcun modo sulla condizione giuridica dei figli, restando estranea al’unione la disciplina delle adozioni dei minori.
Si riparte dai radicali
La legge presentata dai radicali (prima firmataria Bernardini), prevede l’istituzione di un registro delle unioni civili e mira a dare loro una »copertura normativa«. Anche il Pd ha presentato una sua proposta (primi firmatari Lucà-Fassino-Turco) per fissare «regole ombrello» valide sia per le coppie eterosessuali sia per le omosessuali. Tra l’altro si prevede una “certificazione” a livello comunale non per celebrare le unioni ma «per formalizzare la loro previa esistenza, per cui il diritto nasce dal fatto e non viceversa».
Al Senato anche Vittoria Franco del Pd ha presentato un ddl per il riconoscimento giuridico delle unioni civili, mosso dalla volontà di evitare che «chi ha convissuto con una persona magari per trent’anni si veda poi negato perfino il diritto di assistere il proprio partner morente in ospedale«. Sempre a palazzo Madama è stato presentato un ddl (radicali-Pd-Idv) che oltre a istituire il registro delle unioni civili e a regolamentare i passaggi della formale costituzione del rapporto, mira a dare «copertura normativa» al nuovo istituto sul versante del lavoro, della sanità e delle successioni.

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