mercoledì 14 aprile 2010

Assenti ingiustificati. Il governo va sotto sul decreto salvaliste

«Non ci sono rischi. Si troverà una soluzione normativa». Il vicepresidente dei deputati del PdL, Italo Bocchino, esclude riflessi negativi dalla clamorosa bocciatura da parte dell’aula della Camera del decreto salva-liste. Resta il fatto che la maggioranza è caduta con tutte le scarpe nel tranello organizzato dal Pd che ha portato all’approvazione di un emendamento (a firma Gianclaudio Bressa) interamente soppressivo del provvedimento del governo.
Il blitz è stato studiato e orchestrato dai segretari d’aula dell’opposizione Roberto Giachetti ed Erminio Quartiani.  Il trucco, a dire la verità, non è stato molto sofisticato. Il Pd si è limitato a tenere una ventina di deputati fuori nelle prime due votazioni. Cosa che avrebbe fatto sballare i conti di PdL e Lega. Al momento decisivo è bastato far rientrare le “truppe” appostate e zac, la maggioranza è andata sotto e il decreto in fumo: 254 contro 262. Sono bastati 8 voti per far saltare il testo su cui tanto si era battagliato alla vigilia delle elezioni regionali.
Si potrebbe discutere a lungo di uno schieramento che è costretto a giocare a nascondino per ottenere qualche risultato parlamentare. Ciò non toglie che al momento della votazione dell’emendamento incriminato fossero assenti 38 deputati del PdL e quattro della Lega. E non si tratta di peones. Tra i latitanti eccellenti del Partito della Libertà spiccano i nomi del capogruppo Fabrizio Cicchitto (che ha fatto sapere di essere a casa per una broncopolmonite), del vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (che era in missione), di Niccolò Ghedini e del coordinatore Denis Verdini (assenti),  ma anche dei finiani Fabio Granata e Flavia Perina.
È mancato all’appello pure mezzo governo. Ma per lo più si è trattato di missioni autorizzate (molti, come la Brambilla, erano fuori dall’Italia). Così come per 31 esponenti del PdL e 7 del Carroccio.
Complessivamente, un po’ troppi per potersela prendere con i giochini della sinistra. Tanto più che, come dice Bocchino, «il problema dell’assenteismo è ormai endemico».
Critico anche Giancarlo Lehner. «Il presidente Berlusconi, se intende varare le riforme istituzionali e della giustizia, dovrebbe mandare a casa gli attuali deputati, capaci, spesso e volentieri, di andare sotto, pur avendo, sulla carta, una maggioranza bulgara», tuona l’esponente del Pdl.
Ma non fa sconti agli assenti neanche Cicchitto. «L’opposizione», dice il capogruppo, «ha tutto il diritto di sottolineare di avere marcato un punto positivo nella dialettica parlamentare». Detto questo, prosegue il parlamentare, «fra una votazione e l’altra c’è stata una diminuzione nel voto della maggioranza derivante da una inaccettabile sciatteria. Siccome non è giusto che coloro che stanno sempre in Aula paghino conseguenze politiche e di immagine a causa di chi non fa il proprio dovere, d’ora in avanti», annuncia, «il gruppo renderà noto ai vertici del partito e renderà pubblico l’elenco degli assenti ingiustificati; prenderà anche altri provvedimenti visto che siamo a metà legislatura».
Al di là delle polemiche c’è da capire con esattezza quali saranno le conseguenze dello scivolone in Aula e se sarà necessario varare un altro provvedimento. Ipotesi, quest’ultima ventilata dallo stesso Cicchitto.
Lo stop al decreto metterebbe addirittura «a repentaglio il risultato di alcune elezioni», secondo il consigliere regionale uscente del Pdl, Donato Robilotta. «Nel Lazio», spiega, «il decreto è stato infatti applicato dal presidente reggente Montino in merito alla vicenda che ha riguardato la lista Rete Liberal di Sgarbi». Ma il problema, secondo l’esponente radicale Marco Cappato, si riproporrebbe anche in Lombardia per il listino di Formigoni.
Gongola, chiaramente, l’opposizione. «Il voto alla Camera sul decreto salva-liste è una sconfitta politica per la maggioranza ed il governo», dice il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, «aggiungendo pasticcio a pasticcio, finiscono vittime della loro stessa arroganza». Sintetico il commento di Antonio Di Pietro: «Ancora una volta l’elettore italiano si è ritrovato cornuto e mazziato».

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