giovedì 8 ottobre 2009

Il pupillo Alfano azzoppato dalla Consulta

«Per me il lodo Alfano è legge dello Stato. Siamo già proiettati sulla riforma della giustizia», così tagliava corto Angelino Alfano il 23 luglio del 2008, giorno in cui il Capo dello Stato firmò il provvedimento, replicando al vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, che invocava una riforma costituzionale. «Siamo in fiduciosa e serena attesa», diceva ancora ieri mattina il Guardasigilli, qualche ora prima della sentenza.
Ma qualcosa, al ministro della Giustizia, deve essere frullato nella testa durante la trasferta parigina per incontrare l’omologa francese Michelle Alliot-Marie. Ai giornalisti che gli chiedono cosa si provi a vedere il suo nome collegato al lodo, risponde: «È l’abitudine di abbinare un cognome a una legge, ma la legge è tale perché votata dal Parlamento». Un presagio, forse, del terremoto che di lì a poco avrebbe colpito il “suo” lodo.
La notizia gli arriva mentre è a Palazzo Grazioli, dove il ministro si precipita appena rientrato da Parigi. Nel primo commento a freddo, dopo un lungo colloquio con Silvio Berlusconi, Alfano non trattiene lo stupore: «È una sentenza che sorprende, e non poco». Il riferimento è tecnico, a quell’articolo 138 della Costituzione, con cui la Consulta «dice oggi ciò che avrebbe potuto e, inevitabilmente, dovuto dire già nel 2004».
Ma la sorpresa, probabilmente, va al di là degli aspetti giuridici. In serata, intervenendo a Porta a Porta, il ministro chiarisce che «con la bocciatura del lodo si crea un problema: da una parte c’è Silvio Berlusconi premier, legittimato da milioni di voti, che ha diritto di governare, e, dall’altra, vi è il cittadino Silvio Berlusconi, che ha il diritto di difendere se stesso nelle aule di tribunale». Ma è chiaro che il problema non riguarda solo il premier. Quel cognome appiccicato alla legge, per quanto posticcio, lo chiama in causa pesantemente. Del resto, il ddl sulla sospensione dei processi per le prime quattro cariche dello Stato è il suo primo atto da Guardasigilli. E, volente o nolente, la bocciatura del lodo è anche una bocciatura di Alfano.
Persone vicine al ministro assicurano che il fedele Angelino sarebbe stato pronto a dimettersi. La voce è rimbalzata con insistenza in serata in alcuni ambienti del PdL. Ma che il ministro vada fino in fondo è tutto da vedere. Come sembrano confermare le sue stesse parole: «Continueremo a governare, come abbiamo fatto in questi sedici mesi». E ancora: «Questa legge», ha spiegato sempre a Porta a Porta, «è stata caricata di una eccessiva drammatizzazione, immaginando che una eventuale bocciatura potesse aprire la strada a chissà cosa, alla fine di questo governo. Mi pare, anche dalle dichiarazioni del premier, che sia nostra intenzione andare avanti». Anzi, nel negare la volontà di preparare leggi costituzionali che ripropongano il Lodo come chiesto ieri dalla Consulta, Alfano ha rilanciato sulla riforma della giustizia penale. Proprio qui, in effetti, potrebbero concentrarsi nel cammino della legge - oggi in commissione Giustizia al Senato - alcuni provvedimenti sensibili sui processi al persidente del Consiglio.
Tornando ad Alfano, sulla disponibilità del presidente del Consiglio a rinnovare la fiducia al Guardasigilli, non dovrebbero comunque esserci dubbi. Giovanissimo (farà 39 anni il 31 ottobre), è fin dal 2001 considerato, non a torto, uno dei fedelissimi del Cavaliere. L’unico collaboratore per cui Berlusconi abbia mai deciso di spendere la parola “delfino”. Pur di averlo alla Giustizia decise addirittura di scontentare Bossi togliendo la poltrona a Roberto Castelli. E poi, sono stati Ghedini e Pecorella a studiare e limare il lodo. Loro a difenderlo davanti alla Corte Costituzionale. Non a caso nel partito nelle ultime ore è montata la rabbia per il flop dei due giuristi tenuti in palmo di mano dal Cavaliere. I conti, in ogni caso, si faranno oggi, durante l’ufficio politico del PdL. Per ora si sa solo che i due legali dovranno lavorare più nei tribunali che in Parlamento.

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