sabato 24 ottobre 2009

Della Vedova: «Berlusconi dica con chi sta su fisco, lavoro e pensioni»

«L’Irap è una tassa che dà il peggio di sé nelle fasi di recessione, per cui ben venga lavorare ad una riduzione». Non vuole fare letture dietrologiche Benedetto Della Vedova, ex radicale, riformatore liberale del Pdl, considerato molto vicino al presidente della Camera, Gianfranco Fini. La coincidenza dell’annuncio di Berlusconi con le turbolenze legate a Tremonti non sfugge, ma «la cosa importante», spiega, «è che la proposta non resti lettera morta». «Anzi», prosegue, «mi auguro che sia il segnale del fatto che la riduzione delle tasse torni ad essere la priorità del governo».
Secondo il documento “apocrifo” circolato in questi giorni dovrebbe esserlo.
«I documenti non ufficiali contano poco. Qui si tratta di capire se le posizioni del governo sono quelle espresse recentemente da Tremonti, che peraltro apprezzo per aver saputo mantenere la barra dritta sui conti pubblici, o sono i principi liberali e liberisti, più credibili, su cui si basava il programma del centrodestra».
Tremonti non sembra amare molto il liberismo....
Se il problema è quello delle definizioni, per il futuro possiamo disarmare lo scontro ideologico e io posso evitare di parlare di liberismo o di mercatismo. Ma nell’agenda di governo dobbiamo inserire la riforma delle pensioni, una riduzione complessiva della pressione fiscale, la riforma degli ammortizzatori sociali e anche un piano di privatizzazioni per abbattere il debito pubblico, che tra l’altro era un vecchio pallino del ministro dell’Economia».
E tutto questo è compatibile con l’elogio del posto fisso fatto da Tremonti e poi condiviso dal Cavaliere?
«Comprendo la necessità di Berlusconi di gestire le tensioni, ma la prospettiva deve tornare ad essere quella delle partite Iva, del rischio d’impresa, della dinamicità e dell’innovazione, non la retorica del posto fisso che appartiene ad un conservatorismo sociale che contrasta con la realtà del Paese».
Ai precari, però, cosa gli raccontiamo?
«Le distorsioni e le iniquità nel mondo del lavoro non sono causate dalla flessibilità, ma dalla rigidità dei contratti, dall’articolo 18 che scarica i costi sui più giovani. Piuttosto che invocare il posto fisso bisognerebbe tagliare la spesa pubblica e utilizzare le risorse per garantire sostegno al reddito anche alla categorie ora tenute fuori dagli ammortizzatori sociali».

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