Tremonti resta, il problema pure. «Se non riduciamo subito la pressione fiscale e non abbattiamo la spesa, quale sarebbe la differenza tra noi e il governo Visco-Prodi?», si chiede Mario Baldassarri, presidente della commissione Finanze del Senato, economista vicino a Gianfranco Fini e primo firmatario della “contromanovra” taglia-tasse contenuta in un emendamento alla Finanziaria. Ma la blindatura leghista del ministro dell’Economia e la rinnovata fiducia del premier non scoraggiano il professore, anzi. «Si è aperto il dibattito», spiega, «e credo che si sia aperta anche la strada ad una valutazione seria delle proposte che abbiamo presentato in Senato».
Dunque pensa che Tremonti esca indebolito dalla vicenda?
«Penso che la posizione interlocutoria uscita dal vertice di ieri abbia spostato il baricentro dalle persone al metodo. Il problema non riguarda più Tremonti, ma il governo, che deve decidere se vuole realizzare pezzi di programma che sono nel codice genetico del Pdl e permetterebbero al Paese di sopravvivere al dopo crisi».
Finora, però, la decisione è stata quella di contenere il deficit...
«Sulla linea del rigore siamo tutti d’accordo, ma il controllo dei conti pubblici e il rispetto dell’equilibrio finanziario non implicano che non si debba fare nulla. Ed ora è il momento di agire, altrimenti non usciremo più dal pozzo della recessione. Non solo, se nei prossimi mesi risaliranno i tassi di interesse e l’euro non si fermerà, andremo ancora più a fondo».
Il ministro dell’Economia sostiene di aver previsto la crisi e di sapere come uscirne...
«Se è per questo anche io in un libro scritto cinque anni fa avevo previsto la crisi. Ma non è questo il punto. Quando ci si prende una malattia, prevista o meno, non si aspetta che passi, ma ci si cura per farla passare».
La cura potrebbe arrivare, secondo lei, dalla proposta sull’Irap illustrata ieri da Calderoli ai “piccoli” di Confindustria?
«Il ministro parla di una deduzione del costo del lavoro e degli interessi passivi che costerebbe 19 miliardi di gettito, la mia proposta, che riguarda solo il monte-salari, si fermerebbe a 12».
Si tratta sempre di una bella cifra. Si potranno utilizzare i proventi dello scudo fiscale?
«Da un po’ di tempo sullo scudo fiscale si aggirano in tanti, come avvoltoi pronti ad accaparrarsi pezzi di carcasse, ma non ci sarà molto da spartirsi. Le entrate aggiuntive provenienti dal rientro dei capitali all’estero non supereranno i 3-5 miliardi, lo 0,3% del Pil, e rappresentano un’una tantum che non potrà essere utilizzata per coprire una manovra fiscale. Quei soldi dovranno essere destinati agli investimenti nelle infrastrutture».
E allora?
«Si deve intervenire sugli sprechi, la malagestione e le illegalità che caratterizzano l’utilizzo delle risorse pubbliche. Riportando la dotazione della Pa per i consumi intermedi ai livelli del 2002 si risparmierebbero 20 miliardi. Tagliando i trasferimenti alle imprese, tranne le Fs, altri 17. In tutto sarebbero oltre due punti di Pil da destinare alla riduzione delle tasse per famiglie e imprese. In questo modo si tornerebbe ai livelli di occupazione e di Pil pre crisi con 2 anni di anticipo rispetto ai 7 previsti».
Non si può intervenire anche sulle pensioni?
«La questione è fuori dalle proposte presentate in Senato perché non è argomento da Finanziaria. Ma si dovrà procedere sicuramente ad un innalzamento dell’età pensionabile per reperire le risorse necessarie all’allargamento degli ammortizzatori sociali e alla tenuta complessiva del sistema».
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