martedì 7 giugno 2011

L’Fmi benedice Giulio: il “braccino corto” è il modello da seguire

Talmente encomiabile da farne un modello. Ad offrire una sponda a Giulio Tremonti per uscire dall’angolo in cui è finito dopo gli attacchi di Confindustria, i moniti di Bankitalia e la batosta elettorale è nientemeno che il Fondo monetario internazionale. L’organismo è così affascinato dalla linea del rigore del ministro dell’Economia da pensare che l’argomento meriti delle giornate di studio.

 Questo, almeno, è quanto sostiene Arrigo Sadun, direttore esecutivo dell’Fmi per l’Italia, che ieri ha parlato in termini entusiastici del lavoro del ministro. «La gestione della politica fiscale italiana», ha detto, «è stata eccezionale talmente tanto che ci sono i risultati». Di più, «il modello italiano per gestire la spesa pubblica è valido tanto che l’Fmi ha in programma un seminario in merito». Ora, per riportare le cose alle giuste proporzioni, va ricordato che Sadun è nel board dei direttori esecutivi dal maggio del 2005, dove approdò proprio grazie all’allora ministro Tremonti, che decise di nominarlo al Fondo dopo averne apprezzato le capacità come capo dell’analisi economica e finanziaria del Tesoro. I due, per farla breve, non sono propriamente nemici. Questo non toglie che l’opinione di Sadun confermi quanto già sostenuto in più occasioni da tutti i principali organismi internazionali. Del resto, sulla capacità del ministro di mettere in sicurezza i conti pubblici nessuno ha mai sollevato dubbi.

Allo stesso tempo, però, Tremonti non è riuscito ad evitare negli ultimi mesi i continui richiami alla lentezza con cui procede il cantiere delle riforme, a partire da quella del fisco, su cui iniziano a premere anche i gli amici leghisti. La tensione palpabile del post-elezioni è stata smorzata (in seguito, si dice, all’ennesima minaccia di Tremonti di abbandonare la barca) da una serie di dichiarazioni distensive. Lo stesso Silvio Berlusconi ieri mattina ha ribadito che «l’Italia dovrebbe fare al ministro un monumento». Mentre Osvaldo Napoli, deputato vicino al Cavaliere, ha spiegato che «il PdL e la Lega sono usciti sconfitti dalle urne non per colpa della politica di bilancio e il tiro al piccione contro Tremonti non mi convince neanche un poco». Ma il pressing continua. Il capogruppo del PdL alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha detto «che Tremonti ha il ruolo, la personalità, la competenza e la fantasia programmatica per aiutare lo schieramento a riconquistare il consenso dei lavoratori autonomi».

Il problema è che sui quattro tavoli istituiti dal ministro per riformare il fisco c’è ancora poco. E quel poco non sembra così convincente. Ieri sono trapelati alcuni dati contenuti nel rapporto sull’erosione fiscale: si parla di 476 forme di agevolazioni per un valore complessivo di 161,5 miliardi. Una torta su cui Tremonti ha intenzione di intervenire per rimodulare il peso delle imposte. Ma i riflettori negli ultimi giorni si sono accesi sul gruppo di lavoro sul sommerso guidato dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, che ieri ha preso tempo. «Non so», ha detto, «per quando potrà essere pronto il libro bianco. Posso dire che lunedì abbiamo una riunione per discutere del rapporto intermedio». A suscitare perplessità sono alcune anticipazioni diffuse dalla stampa da cui sono emersi dati un po’ curiosi ottenuti incrociando analisi campionarie di Bankitalia con le dichiarazioni dei redditi. Dal quadro spunta fuori non solo l’anomalia di un Sud virtuoso e un Nord super evasore, ma anche il fenomeno bizzarro per cui dipendenti e pensionati pagano più tasse del reddito percepito. Ieri della stonatura si è accorto pure Giuseppe Bortolussi. Il segretario della Cgia di Mestre, solitamente attento ai numeri, ha definito «opinabile e obiettivamente poco attendibile» uno studio che prende in esame solo 8mila famiglie distribuite su tutto il territorio nazionale. Di sicuro sui quattro tavoli ci sono anche documenti ben più dettagliati e rigorosi. Quello che si vede finora, però, non è troppo incoraggiante.

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