giovedì 2 giugno 2011

Le mani nella borsa di Tremonti

La madre di tutte le battaglie, la bandiera della rivoluzione liberale, il tormentone di tante campagne elettorali: meno tasse. «Tremonti propone, non decide». Questa volta non ci sono numeri o tabelle che tengano. Sul fisco bisogna intervenire. Subito. E il ministro dell’Economia dovrà trovare i soldi.

Dopo la sberla elettorale Silvio Berlusconi va giù a testa bassa. È stufo delle scuse di Giulio, delle chiacchiere sul rigore, sulla tenuta dei conti pubblici. «In cima all’agenda del governo c’è la riforma del fisco», dice il premier durante il ricevimento al Quirinale per il 2 giugno. E non si tratta, come fin qui è stato spesso ribadito, di rimodulare, spostare, snellire. Di far pagare le cose e non le persone. Non è più il momento dei giochi contabili. O delle sottigliezze tributarie. Riformare il fisco, fa capire il Cavaliere, significa anche e soprattutto ridurre le tasse. E se Tremonti non vuole? «Gli faremo aprire i cordoni della borsa», va giù duro il premier, «non è lui che decide, lui propone». E alcune decisioni sono già prese. «Sarebbe facile ridurre le imposte se facessimo ciò che fanno gli altri paesi sulle pensioni o sull’impiego pubblico. Ma noi non siamo intenzionati a farlo anche se faremo la riforma del fisco». Il ministro, insomma, dovrà pescare altrove. Magari in quei tagli alla spesa selettivi indicati ieri dal governatore di Bankitalia nonché neo presidente della Bce, Mario Draghi. In tarda serata, con una nota, il Cavaliere corregge il tiro: «Riconfermo piena fiducia nel ministro Tremonti», si affretta a precisare quando cominciano a circolare voci su possibili dimissioni del titolare dell’Economia, «e sono sicuro che continueremo a lavorare bene insieme come abbiamo fatto sino ad adesso».

Screzi a parte non sarà semplice, anche perché gli “amici” leghisti potrebbero non fare più da sponda nel respingere le richieste del Cavaliere. Dicono che Tremonti ci abbia provato durante il vertice con Umberto Bossi seguito al Consiglio dei ministri a spiegare che i conti non tornano, che la riforma del fisco non è a costo zero, che tutti gli organismi internazionali spingono per la linea del rigore. Al termine dell’incontro il Senatur ha mescolato un po’ le carte, tanto per smorzare l’invito lanciato da Roberto Maroni ad abbassare le tasse. Tremonti ci mette i soldi? «Dipende da cosa si intende per riforma del fisco», ha risposto sibillino. Il vertice, però, sarebbe stato tutt’altro che sereno. I leghisti avrebbero anche rinfacciato all’amico Giulio di aver riconfermato Attilio Befera alla guida dell’Agenzia dell’Entrate (la nomina è stata ratificata dal Cdm proprio ieri). Il numero uno del fisco, che è anche presidente della società pubblica di riscossione Equitalia, ha trasformato gli uffici esattoriali in una macchina da guerra che sta sfornando risultati eccezionali nella lotta all’evasione. Lo stesso Befera ha detto ieri che nei primi quattro mesi del 2011 Equitalia ha incassato 3,1 miliardi (+ 12,5% rispetto allo stesso periodo 2010). Ma la spremitura del contribuente, spesso con procedure definite vessatorie persino da Tremonti, è una pratica che piace poco a tutti e in particolare alle Pmi e alle partite Iva del Nord.

Il ministro dell’Economia è uomo dalle mille risorse. E il campo tributario è il suo terreno. Ma stavolta uscire dall’angolo non sarà facile. Anche perché sulla riduzione delle tasse, oltre a mezzo governo e al presidente del Consiglio a stringere l’assedio ci sono anche le imprese e i sindacati. E poi c’è la manovra triennale da circa 40 miliardi per arrivare al pareggio di bilancio nel 2014 che Tremonti dovrà presentare entro due o tre settimane. Far quadrare tutte le cifre sembra un’impresa quasi impossibile. Un’alternativa per prendere tempo potrebbe essere quella di chiudere in fretta i quattro tavoli di studio per la riforma. Si aprirebbe un dibattito che permetterebbe almeno di far passare l’estate, rinviando i nodi all’autunno. Resta da vedere se a Berlusconi sia rimasta una sufficiente quota di pazienza.

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