martedì 14 giugno 2011

Il flop della banda ultra larga. Coperto solo il 4% dell’Italia

L’agenda digitale di Bruxelles prevede che entro il 2020 almeno il 50% delle famiglie italiane sia “abbonato” alla banda ultra larga. Il che significa che le stesse famiglie debbano essere collegate alla rete almeno un paio di anni prima. Volete sapere quali sono gli obiettivi italiani per il 2014? Il 4%.

La deprimente percentuale, rigorosamente top secret, è sul tavolo del ministro dello Sviluppo Paolo Romani, che ogni semestre monitorizza gli investimenti di tutti gli operatori telefonici dedicati esclusivamente alla realizzazione della rete di nuova generazione. Ebbene, al di la dei proclami e degli annunci delle società, che parlano di miliardi e miliardi di euro destinati alla Ngn, il dato complessivo delle risorse comunicate al governo in via ufficiale (i numeri arrivano direttamente dai cda degli operatori) permetterebbe di collegare alla fibra solo il 4% (adesso è circa l’1,5%) delle famiglie italiane entro il 2014.
Nasce proprio da questi numeri il tentativo di Romani di mettere tutti intorno ad un tavolo per sciogliere i nodi legati alla realizzazione dell’infrastruttura. Il ministro dello Sviluppo era riuscito lo scorso novembre a raccogliere la firma dei principali operatori su un memorandum d’intesa per la creazione di una società delle reti (Infraco) a partecipazione mista pubblico (con la Cdp)-privata. Progetto partito con intenti di sussidiarietà (intervenire dove non lo fanno i privati) ma che avrebbe potuto tranquillamente diventare il vero volano della fibra in Italia.

Salta il tavolo
I lavori sono proseguiti, tra alti e bassi, fino a qualche settimana fa, con la definizione del business plan della nuova società. Giunti in vista del traguardo, Franco Bernabé ha però deciso di far saltare il tavolo, accusando platealmente il governo (sulle pagine del Corsera) di voler «nazionalizzare la rete» strizzando l’occhio agli operatori alternativi. Durissima la replica di Romani, che ieri (sempre sul Corriere) ha risposte per le rime: «Il timore di Telecom è quello di perdere una posizione dominante, tipica di ex incumbent».
Scontro al vetriolo, che ha lasciato di stucco anche gli addetti ai lavori. Molti hanno letto la sortita del presidente del gruppo telefonico come un affondo legato anche ad altre partite, alcune dal sapore più politico. In effetti, secondo quanti riferiscono fonti vicine al dossier, sembra che al tavolo della Ngn l’ex monopolista avesse avuto la meglio su molti fronti caldi. Sul conferimento della rete in rame alla nuova società, «ha avuto ampie rassicurazioni sul prezzo», che dovrebbe attestarsi sui 500 euro a linea concordati in questi giorni in un progetto simile portato avanti con la Regione Lombardia.
Sull’opzione call, posta da Telecom come condizione per acquisire in futuro partecipazioni sempre più ampie della società a prezzo prefissato, «si sta discutendo sulla definizione delle quote, ma anche gli altri operatori sono d’accordo nel lasciare all’ex monopolista la maggioranza, se non il 100%, di Infraco». Un po’ più complicata la questione dell’apertura della rete. Il progetto prevede un’architettura per l’80% con il modello voluto da Telecom (Gpon) e per il 20% con quello preferito dagli operatori alternativi (point-to-point). Il problema è che il primo non permetterebbe l’unbundling fisico (come avviene oggi per l’ultimo miglio) da parte dei concorrenti, a meno che non si introduca uno splitter nelle centrali da cui far partire una fibra per ogni cliente. Cosa che farebbe lievitare i costi per Telecom e gli toglierebbe anche il monopolio della fibra che arriva nelle case.
Sul punto Bernabé se la sarebbe presa, minacciando di non investire un euro sulla Ngn, anche con il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, che nella definizione delle nuove regole (in consultazione fino al 30 giugno) avrebbe sottolineato troppo la necessità di avere una rete aperta. Cosa che, d’altra parte, è imposta dall’Europa.

Il piano non cambia
Cosa ci sia davvero dietro lo strappo di Bernabé resta un mistero. I maligni sostengono che il manager voglia mandare tutto all’aria perché sulla Ngn il gruppo ha finora investito pochissimo e non ha alcuna intenzione di infilarsi ora in un’operazione costosa e incerta. Se il tentativo è quello di alzare la posta per ottenere qualcosa in più, dal ministero fanno sapere che il progetto non sarà modificato di una virgola. La prossima riunione è convocata per il 21 giugno. Prima di allora, come ha indicato Romani, bisognerà anche ascoltare le parole di Calabrò nella relazione annuale di martedì prossimo. Voci ben informate ritengono che il presidente dell’authority, che scadrà nel maggio del prossimo anno, voglia chiudere il mandato con almeno uno straccio di risultato sulla banda ultra larga. La sensazione, per ora, è che Internet veloce non sia neanche all’orizzonte.

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