«Tremonti dice che i soldi non ci sono, perché non lo fate fuori?». Una battuta, chiaramente, quella pronunciata da Silvio Berlusconi lo scorso 14 marzo. Ma c’è chi, senza scherzare, sul ministro dell’Economia, ha detto tutto e il contrario di tutto. Non serve andare troppo indietro, agli scontri con Fini del 2004 che portarono alle dimissioni del titolare di Via XX Settembre. Basta prendere un po’ di dichiarazioni dell’ultimo anno. E la follia scatenata dal tributarista di Sondrio è servita.
A partire da quella prodotta nella sua stessa maggioranza. Compresi i suoi fedelissimi amici. «Ero vicino al ministro dell’Economia nelle trattative con le Regioni sulla manovra e gli ho fatto i complimenti per come ha gestito il confronto», ha detto il responsabile del Viminale, Roberto Maroni, il 10 luglio 2010. «Tremonti sarebbe un ottimo presidente del Consiglio ma non prima delle elezioni», ha ribadito il 19 novembre, salvo poi nelle ultime settimane scendere in pressing per il taglio delle tasse e attribuire a Giulio la colpa della sconfitta elettorale. Non si contano poi, a parte l’ultimo affondo durissimo di Crosetto, gli stop and go dei ministri, Galan, Prestigiacomo, Brunetta, Bondi. Tutti protagonisti di attacchi ad alzo zero contro il ministro dei tagli.
Ma i balletti più divertenti sono quelli delle opposizioni. «Il Pd dice no al governo delle larghe intese solo perché è stata fatta l’ipotesi che a guidarlo possa essere Silvio Berlusconi, ma se il nome dovesse essere quello di Giulio Tremonti i democratici direbbero di sì». Così Piefredinando Casini interpretava il 12 luglio 2010 le intenzioni di un nascendo terzo polo per scalzare il premier. «Tremonti ha il merito di aver tenuto fermo il controllo del deficit e del debito pubblico, e non è poco. Lo ha fatto non avendo dietro un governo capace di stabilire priorità, tagliando sui settori più deboli, quelli che avevano meno forza politica, e questo non è giusto». Rincarava la dose il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione il 23 dicembre.
Ma il 15 luglio lo stesso Casini dichiarava: «La manovra economica approvata oggi in Senato non è equa e ci sono troppe furberie. Tremonti è stato garante nell’infilare nelle pieghe della manovra troppe furberie pro-Lega».
E il 28 luglio, sempre Casini: «Comprendiamo la necessità di rigore indicata da Tremonti, ma la manovra messa in campo dal governo è ragionieristica, e ha una grande mancanza: il coraggio politico». Però, il 6 gennaio, il vicecapo dei deputati dell’Udc, Galletti, spiega: «Dal Ministro Tremonti ci divide soprattutto l'analisi su come coniugare crescita e rigore dei conti pubblici, ma non c’è dubbio che il ministro dell'Economia sia fra coloro che meglio di chiunque altro conoscono la difficile realtà dei conti e la complessa situazione economico-internazionale».
Ancora più grottesco il teatrino del Pd. «Le bolle di sapone del ministro Tremonti non riescono a coprire una politica economica inefficace, profondamente iniqua, senza alcun respiro strategico. Il nostro ministro procede alla cieca», spiegò il responsabile economico Fassina il 18 luglio 2010.
«È la manovra più iniqua che io ricordi. I grandi ricchi con miliardi di patrimonio non pagano un euro, è inverecondo. Sfido chiunque a sostenere il contrario. La realtà è che Tremonti è stravagante, diciamo scollegato dalla realtà» aggiunge il segretario del Pd, Pierluigi Bersani il 21 luglio 2010.
Poi, la giravolta. «L’ipotesi di un governo di transizione guidato dall’attuale ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, è un’evenienza più sensata di un confronto elettorale con un meccanismo come questo». Spiega il segretario il 3 agosto. «Per un governo di transizione, diverse le personalità importanti che potrebbero svolgere il compito e Tremonti è sicuramente tra queste». Aggiunge Enrico Letta il giorno dopo.
C’è poi il capitolo Marcegaglia. Con Tremonti «concordiamo che dopo una prima fase di rigore ora à necessario continuare su questa strada ma anche su quella della produttività e competitività. Adesso si tratta di lavorare insieme». Dice Emma Marcegaglia il 5 settembre 2010. Poi, il 25 settembre: «Le imprese e i cittadini stanno esaurendo la loro pazienza. Servono riforme, non si può ancora aspettare», conclude la presidente di Confindustria.
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