venerdì 10 giugno 2011

L’India ci supera, Emma chiede più Iva

Se vogliamo riacciuffare India e Corea (e tenere a distanza il Brasile), dobbiamo aumentare l’Iva. Messa così, può sembrare una follia. Ma è questo, brutalizzando un po’ i termini del ragionamento, il messaggio lanciato ieri da Confindustria.

Ma partiamo dall’inizio, ovvero dal colpo terrificante portato dalla crisi alla nostra produzione industriale. I dati snocciolati dall’ufficio studi di Confindustria chiariscono i contorni di una realtà già conosciuta, ma non fino in fondo. La produzione, si legge nel rapporto, «è quasi ferma ai livelli dell’estate 2010», con un +0,1% di crescita mensile da luglio a marzo 2011, «e dista dal massimo precrisi (-26,1%) ancora molto, -17,5%».
La flessione del 17% dell’attività registrata nell’ultimo triennio, aggiungono gli esperti di Confindustria, pesa ancora di più se si considera che è «doppia o tripla di quelle delle maggiori concorrenti». Il quadro sembra già abbastanza catastrofico, ma per rincarare un altro po’ la dose, gli uomini di Emma Marcegaglia si producono pure in un confronto planetario, segnalando che l’Italia, per forza industriale, è scivolata dalla quinta alla settima posizione. Il che significa che India e Corea del Sud ci hanno già scavalcato e che il Brasile, «che viaggia ad una velocità molto più sostenuta», si appresta a farlo di qui a breve.

La comparazione con i Paesi emergenti, che già correvano prima della crisi e hanno sfruttato a loro vantaggio la battuta d’arresto delle economie occidentali (la Cina, per dire, ha scalzato gli Usa al primo posto) aggiunge poco, se non in termini di suggestione, ad un quadro che tutti già riconoscono molto negativo. Così come, almeno per chi ha letto le rilevazioni periodiche di viale dell’Astronomia negli ultimi mesi, non sorprende più di tanto neanche quel 17% di flessione.
Più preoccupante è il pessimismo con cui Confindustria legge l’andamento dell’economia nei prossimi mesi. In barba ai segnali incoraggianti arrivati dalla ripartenza dell’export, dall’aumento degli ordini dell’industria, dalla dinamicità delle imprese del Nord e, in ultimo, dalla ripresina dei consumi registrata qualche giorno fa da Confcommercio, per l’associazione degli industriali nel 2011 l’Italia ha di nuovo tirato il freno a mano. È qui, all’interno di uno scenario dipinto con le tinte più fosche possibili, che si inserisce la ricetta per riaccendere i motori. A partire dal fisco. Proposte e idee che la presidente di Confindustria va dicendo da tempo, ma che ora si incastrano con l’esigenza del governo di battere un colpo e con l’assedio ormai quotidiano su Giulio Tremonti (è di ieri l’annuncio di Berlusconi sulla legge delega fiscale prima dell’estate).

La linea caldeggiata dalla Marcegaglia, del resto, si sovrappone perfettamente a quella sostenuta da tempo dal ministro di spostare la tassazione dalle persone alle cose. Terreno minato, fanno notare le Pmi, gli artigiani, i commercianti e molti economisti, perché rischia di far impennare l’inflazione e deprimenere ulteriormente i consumi. Ma per le grandi imprese il meccanismo funzionerebbe abbastanza bene. Si tratta, in sostanza, di «aumentare di qualche punto le aliquote Iva e la tassazione delle rendite finanziarie» e di dirottare le risorse ottenute alla riduzione mirata di Irpef e, soprattutto, Irap. La proposta, che vede anche la convergenza della Assonime di Luigi Abete, ha già ricevuto una sonora bocciatura da parte di Rete Imprese, che raccoglie le associazioni del commercio e dell’artigianato meno colpite per questioni dimensionali dall’Irap.
Il progetto è, però, tra gli altri, sul tavolo di Tremonti. E sebbene la Marcegaglia abbia giustamente sottolineato anche la necessità di aggredire la spesa non con i tagli lineari, ma con riduzioni selettive sui costi della politica, della Pa e del Welfare, è difficile che in questa fase il governo, come ha detto la stessa presidente, abbia «il coraggio di fare scelte impopolari».  Dovendo tenere in equilibrio il bilancio pubblico non resta molto altro che riformare il fisco a costo zero. C’è solo da sperare che il ministro dell’Economia faccia bene i suoi (e i nostri) conti.

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