martedì 2 novembre 2010

Wall Street sicura: Fiat lascerà Torino

Delle due l’una: o gli esperti a stelle e strisce di Goldman Sachs sono impazziti oppure sono convinti che Sergio Marchionne abbia già preparato le forbici per tagliare la zavorra Italia. Sarebbe difficile spiegare in altro modo quella fiducia che la grande banca d’affari americana continua a riporre sulle potenzialità di crescita del Lingotto, al punto da consigliare agli investitori di fare man bassa di azioni Fiat, perché il titolo sarebbe sottovalutato non di qualche spicciolo, ma di quasi 10 euro.

È questo il messaggio lanciato dagli analisti di Goldman Sachs, che alla fine della scorsa settimana hanno rialzato il prezzo obiettivo della casa torinese da 17 a 21 euro, rispetto agli attuali 12 a cui viene scambiato a Piazza Affari. Praticamente il doppio. Ufficialmente, la banca ritiene che la mossa vincente del gruppo sia lo spin off dell’auto. Un’operazione, scrivono in un report, in grado di liberare il valore nascosto del Lingotto.
Ma per quanto valore possa uscire dalla separazione societaria di Fiat Auto da Fiat Industrial alla fine dei giochi le auto bisogna produrle e venderle. E in Italia le cose sembrano entrambe assai difficoltose.
Quanto al primo punto sappiamo tutti che malgrado le deroghe, i patti, gli accordi e il sostegno di una parte importante del sindacato, raggiungere nei nostri stabilimenti i livelli di produttività del Brasile (78 auto per dipendente contro le 53 di Melfi, le 37 di Termini Imerese, le 30 di Mirafiori, le 24 di Cassino e le 7 di Pomigliano) o della Polonia sarà quasi impossibile, perlomeno nel breve periodo.

Quanto alle vendite, la situazione appare catastrofica. Oggi verranno resi noti i dati ufficiali del ministero dei Trasporti sulle immatricolazioni di ottobre. C’è, però, chi ha già fatto i calcoli. Secondo i concessionari i marchi del Lingotto andranno molto peggio delle auto straniere. Le stime diffuse ieri da Federauto parlano di uno scivolone delle vendite di Fiat, Alfa Romeo e Lancia addirittura del 39,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un dato che deve essere confrontato non tanto con un crollo generale del mercato del 29%, quanto con una performance molto migliore dei marchi stranieri, che limiteranno le perdite ad un meno 22,9%.  La situazione è «un disastro da qualunque parte la si guardi», ha avvertito il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi, aggiungendo che la «debacle avrà pesanti ripercussioni sull’occupazione».
Il presidente dell’Unione concessionari del gruppo Fiat, Piero Carlomagno, non nega le difficoltà, che «sono sotto gli occhi di tutti», ma è convinto che il Lingotto stia «ponendo in atto delle strategie volte a riconquistare il terreno perduto». Sdrammatizza anche Adolfo De Stefani Cosentino, numero uno dei concessionari Mercedes, il quale spiega che «le straniere perdono meno perché avevano già subito una forte contrazione» nei mesi scorsi.

Timide rassicurazioni, che non bastano a spiegare l’ottimismo dei super esperti di Wall Street. Anche perché lo scenario di fondo è sempre quello che vede il futuro del Lingotto nel nostro Paese appeso alla partenza del progetto Fabbrica Italia su cui le incertezze e i dubbi sono ancora molti.
La partita, però, non è affatto chiusa. E nei prossimi giorni non mancheranno le occasioni per dimostrare a Goldman Sachs che la scommessa su Fiat può essere vinta anche senza che Marchionne sia costretto ad impugnare le forbici.
Da domani, tanto per cominciare, le redini della Cgil saranno ufficialmente in mano a Susanna Camusso. La neo segretaria potrebbe riportare il sindacato rosso al centro della scena ricucendo i rapporti con Cisl e Uil e uscendo dall’angolo in cui è stata messa dalla Fiom negli ultimi mesi proprio partendo dalla sfida lanciata da Marchionne. Del resto è proprio con i metalmeccanici, e con gli scontri con l’ala massimalista, che la Camusso si è fatta i calli da sindacalista.
Il giorno dopo, il 4 novembre,  sarà poi la volta dell’incontro tra Marchionne e il neo ministro dello Sviluppo, Paolo Romani. Quella sarà l’occasione non per ricordare al manager gli obblighi del gruppo verso l’Italia, ma per dimostrargli che il governo sosterrà l’azione di rinnovamento su cui si basa non solo il futuro del Lingotto, ma quello dell’intera industria nazionale.

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