mercoledì 3 novembre 2010

Sabelli invoca la Francia. Colaninno lo scomunica

Solo gli sciocchi, si dice, non cambiano mai idea. Tuttavia fa un po’ impressione leggere, tra le decine di anticipazioni quotidianamente distillate dall’ultima fatica di Bruno Vespa, che l’ad di Alitalia Rocco Sabelli ha intenzione di proporre agli azionisti della compagnia la fusione con Air France. Solo qualche mese fa, infatti, per l’esattezza il 5 luglio, lo stesso manager sosteneva che la fusione «non è nei nostri piani, né nelle nostre prospettive».

Anche il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, a dire il vero, verso la fine di luglio commentava così alcune indiscrezioni di stampa: «La fusione? Tutto ciò che rafforza la nostra compagnia mi vede favorevole». Tutt’altra la reazione di ieri: «L’intento del governo era e rimane ancora oggi quello che Alitalia mantenga la sua italianità». Il progetto di Sabelli salverebbe capra e cavoli. L’ad parla di «un merger tra le società per confluire in un aggregato più grande». Questa l’idea: «L’azionariato che controlla Air France è per il 14% in mano al governo francese e per il 12% in mano al personale. Non è detto che i nostri soci non possano avere una partecipazione sull’aggregato, se non superiore a quella del primo azionista, almeno del secondo, in modo da mantenere rilevante il peso della proprietà italiana».

Il piano non è dietro l’angolo. Come dimostra l’immediata precisazione del presidente della compagnia, Roberto Colaninno, che ha liquidato l’ipotesi definendola «un pensiero di Sabelli, non condiviso dagli azionisti». Che il futuro di Alitalia non si intreccerà, prima o poi, in maniera più stretta con quello di Air France non è però così scontato. Anzi. Di nozze con i francesi (la prima alleanza commerciale risale addirittura al 2001) si discute sin dal primo tentativo di privatizzazione messo in campo da Romano Prodi. Un progetto saltato non solo per colpa dei sindacati italiani, ma anche per la repentina marcia indietro di Parigi di fronte a condizioni di mercato non più favorevoli. Il partner d’Oltralpe uscito dalla porta è poi rientrato dalla finestra con l’operazione Fenice. Nel gennaio del 2009 i francesi sono infatti sbarcati nel capitale di Alitalia-Cai con il 25%. Con un patto che vincola comunque i soci italiani a non cedere azioni ai francesi fino al gennaio 2013.
Nel frattempo, lo scenario si è decisamente modificato. Lo scorso luglio Alitalia ha avviato una grande joint venture transatlantica insieme ad Air France-Klm e Delta Air Lines. Operazione considerata da Sabelli «un pilastro strategico del piano Fenice», ma non una prima tappa verso la fusione.

Ieri, però, spiegando le sue dichiarazioni, l’ad è tornato a parlare proprio della joint venture, sottolineando l’importanza dell’integrazione industriale tra le compagnie ed esprimendo l’auspicio che «possa ulteriormente svilupparsi». La sensazione, del resto, è che per decollare veramente la nuova Alitalia abbia bisogno di una spinta in più. Malgrado segnali positivi sul fronte dei ricavi, nei primi 9 mesi dell’anno il rosso della compagnia è ancora a quota 125 milioni, con un’indebitamento finanziario netto (827 milioni) superiore al patrimonio (600 milioni). Se le cose non migliorano in fretta, le polemiche sull’italianità rischiano solo di far perdere di vista l’obiettivo che, come nel caso Fiat, è quello di far restare l’azienda sul mercato.

© Libero