Autonomia fiscale. Al di là delle chiacchiere sui controlli, sulle sanzioni e sulle regole, si gioca qui la battaglia europea. Non è un caso che l’Irlanda stia cercando con tutte le forze di dribblare gli aiuti europei che farebbero scattare un commissariamento sulle politiche di bilancio. Ieri il quotidiano Irish Times ha fatto sapere che il governo di Dublino sta lavorando ventre a terra per far uscire il piano quadriennale anti-deficit al massimo martedì, prima quindi della definizione e dell’arrivo di qualsiasi aiuto internazionale. A parte verrà pubblicato un piano di ristrutturazione del sistema bancario, anch’esso da mettere definitivamente a punto durante il weekend.
Fonti vicine alla stesura dei due dossier rivelano che Dublino potrebbe aver bisogno di assistenza tra i 45 e i 90 miliardi di euro, a seconda se chiederà aiuti solo per le banche o anche per risanare il debito. Ed è questo il nodo. Il tentativo del governo di Dublino è infatti quello di ottenere un prestito per sostenere il sistema creditizio senza attivare il piano di salvataggio europeo. La differenza non è solo quantitativa. Riguarda piuttosto il timore dell’Irlanda di lasciare il fisco nazionale in mano a Bruxelles. Dublino non intende infatti sacrificare la tassa del 12,5% sugli utili delle imprese, servita finora per attirare gli investimenti esteri. Un flusso di capitali tanto ingente da rappresentare il 47% del Pil irlandese. Il ministro dell’Economia Brian Lenihan ha chiaramente fatto capire che quella linea di confine non potrà essere oltrepassata, malgrado Germania, Francia e Gran Bretagna, non a caso i Paesi più esposti verso l’Irlanda, continuano a insistere che i margini per alzare l’aliquota ci sono.
A sostenere la necessità di una tassazione eterodiretta non sono solo loro. In pressing sul fisco centralizzato come arma per combattere l’instabilità dei bilanci pubblici europei ci sono anche Bce e Fmi. Jean-Claude Trichet e Dominique Strauss Khan, banchiere centrale della Ue il primo, potente capo del Fondo monetario internazionale il secondo si sono ritrovati insieme ad una tavola rotonda un paio di giorni fa. E la sintonia è stata quasi totale. I controlli reciproci sulla disciplina di bilancio dei Paesi europei «non hanno funzionato molto» ed è tempo di «cambiare rotta», ha spiegato il direttore generale dell’Fmi. Occorrono, gli ha fatto eco Trichet, «riforme molto ambiziose nella governance dell’area euro, per andare alla radice dell’attuale situazione e per rendere impossibile che si ripetano le situazioni della Grecia e dell’Irlanda». Fin qui, la posizione non sembra molto diversa da quella su cui si sta muovendo anche il Consiglio europeo attraverso la ridefinizione del Patto di stabilità.
Il problema è che Trichet e Strauss Kahn hanno in mente ben altri obiettivi. Principalmente quello di politiche comuni e armonizzate, a partire da quelle fiscali. Secondo il numero uno del Fondo monetario, a cui piace molto l’Iva europea, sarebbe necessario «allontanare la responsbilità sulla disciplina fiscale dal Consiglio» e quindi dagli Stati nazionali, per assegnarla in misura maggiore alla Commissione europea. La soluzione «più ambiziosa» sarebbe addirittura quella di creare «un’autorità fiscale centralizzata».
Non molto diverso il ragionamento di Trichet, che invoca una svolta nella governance Ue proprio per rendere le politiche fiscali più solide.
Anche nel settore del lavoro, secondo Strauss Khan, c’è ancora molto da fare. «L’area dell’euro non può raggiungere il suo vero potenziale con un patchwork sconcertante di mercati del lavoro», ha spiegato. E tra le prime misure che bisognerebbe adottare a livello europeo, secondo il direttore del Fondo, ci sarebbero anche «politiche meno restrittive in tema di immigrazione». Solo così, ha aggiunto, «la crescita a lungo termine potrà avere una spinta».
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