lunedì 29 novembre 2010

Il trenino della Cgil. La Fiom dà la linea, la sinistra segue a ruota

C’è un filo, ingarbugliato ma senza soluzione di continuità, che lega Maurizio Landini a Pierluigi Bersani. Con il primo, segretario della Fiom, che segna il passo e il secondo, segretario del Pd, che tenta faticosamente di restare in scia. In mezzo c’è la sinistra radicale e antagonista e, soprattutto, la Cgil, che ieri, con la prima “piazza” di Susanna Camusso, ha dimostrato di non avere ancora la forza necessaria per il colpo di reni.
Due erano le possibilità che si presentavano al neosegretario del sindacato rosso, considerato il quadro economico e politico, per riprendersi la scena.

La Camusso avrebbe potuto cavalcare con decisione la protesta, sorpassare a sinistra metalmeccanici, vendoliani, dipietristi e proporsi come punta di diamante di una grande ammucchiata antiberlusconiana in grado di dare la famosa spallata al governo. Oppure, avrebbe potuto prendere le distanze dalla Fiom, uscire dall’isolamento, lanciare segnali di pace verso il sindacato moderato e tornare ad essere il fulcro delle politiche del lavoro del Paese con la possibilità di governare il cambiamento.
Il segretario della Cgil ha scelto di restare nel mezzo. Niente spallate, nessun appello a Cisl e Uil, pochissime proposte, nessun ultimatum. La Camusso si è limitata a cantare Bella Ciao e a minacciare, senza proclamare, lo sciopero generale chiesto dalla Fiom.

La linea era stata dettata in mattinata da Giorgio Cremaschi. «Mi attendo», ha detto senza giri di parole il leader del sindacato dei metalmeccanici, «solo due parole: sciopero generale. Se ci saranno sarà una scelta buona e giusta, al contrario vorrà dire che il comizio sarà deludente per noi e per tutti i manifestanti».
La delusione, alla fine, non c’è stata, seppure la formula utilizzata dalla Camusso a conclusione del comizio romano in piazza San Giovanni è quella più morbida che si poteva immaginare: «È il Paese per cui abbiamo scioperato e continueremo a scioperare». Una frase ambigua, che non ha soddisfatto fino in fondo Cremaschi («cosa deve accadere ancora perché venga proclamato?»), ma che consegna comunque alla Fiom e alla sinistra antagonista, che da mesi insistono sulla necessità di mettere in atto la massima protesta, il pallino dell’iniziativa sindacale in vista del direttivo della Cgil che si terrà la prossima settimana.
Altre strade da percorrere, del resto, non sono state indicate. La Camusso ha bocciato il ddl lavoro, definendola «una legge crudele e ingiusta», e le nuove deroghe al contratto dei metalmeccanici. Ha lanciato proclami sulla lotta all’evasione fiscale, perché «legalità è libertà», ribadendo la richiesta di colpire le rendite finanziarie e di abbassare le tasse sui lavoratori. Se l’è presa con il ministro dell’Interno Roberto Maroni, sostenendo che «questo non è un Paese di clandestini, ma sono le leggi di questo Paese che li stanno rendendo tali». Ha poi chiesto al ministro dell’Università, Maria Stella Gelmini, «di smetterla con gli appelli su youtube e di ritirare il ddl» e accusato il governo di aver parlato molto in questi due anni, ma di «non avere fatto nulla per l’occupazione, il lavoro e il futuro», aggiungendo che il Paese «non si merita questa classe politica».

Ma nel comizio della Camusso sono mancati i riferimenti a Confindustria, non una parola sulle spaccature sindacali, niente proposte sulle politiche del lavoro o sulle ricette per uscire dalla crisi, nessuna analisi sulla bufera dei conti pubblici in Europa. La grande kermesse della Cgil si è alla fine ridotta ad una vetrina per politici a caccia di consensi. Con Bersani costretto ad abbracciare Nichi Vendola (malgrado lo schiaffo alle primarie milanesi) per beccarsi qualche applauso e Rosy Bindi che si infila tra i manifestanti per stringere un po’ di mani. Ma alla fine, l’unica cosa che resta sul tavolo, che alimenta il dibattito e a cui sembrano ormai aggrappate anche le residue speranze della sinistra, è quello sciopero generale preteso e quasi ottenuto dalla Fiom. «Una grandissima manifestazione», ammette il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, ma solo con lo sciopero «sarà possibile dare continuità ad una mobilitazione che unifichi le lotte».

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