martedì 23 novembre 2010

I finiani puntano i piedi. Riforma Gelmini a rischio

Messa in freezer per approvare la finanziaria la bomba università riesplode nel bel mezzo della semi-crisi di governo. Se a metà ottobre le acque erano agitate, ora il mare è forza 10, in piena burrasca. Ieri la riforma ha ripreso il cammino, approdando nell’aula della Camera, ma il nodo da sciogliere è ancora lì. Si tratta della richiesta di risorse aggiuntive che si è materializzata sotto forma di emendamenti  nel corso dell’esame in commissione Cultura.

In particolare la norma che prevedeva il piano di concorsi per l’assunzione di 1.500 professori di seconda fascia all’anno dal 2011 al 2016 avrebbe provocato l’esborso di circa 2 miliardi da parte del governo. Sulle modifiche si è abbattuta la scure della commissione Bilancio e dei tecnici di Giulio Tremonti, che hanno dato il via libera al ddl Gelmini a patto che fossero stralciate alcune norme incriminate e che per tutte le misure di spesa venga specificato che non ci siano oneri aggiuntivi per lo Stato.
Il testo è quindi arrivato in aula nella versione “a costo zero”, più o meno simile a quella uscita dal Senato. Ma in questa forma asciugata a molti non piace. A partire dai finiani, che già a metà ottobre avevano annunciato battaglia se non sarebbero state trovate le risorse necessarie. Tema su cui, va detto, c’era il sostegno anche del ministro Maria Stella Gelmini, della presidente della commissione Cultura, Valentina Aprea, e dello stesso Giulio Tremonti, che aveva promesso di fare il possibile. Il possibile, allo stato, è il miliardo di euro circa recuperato nel ddl stabilità. Soldi, secondo la Gelmini, sufficienti a fronteggiare le spese ordinarie, un piano di assunzione dimezzato (triennale) per i ricercatori e per garantire il diritto allo studio.

Gli esponenti di Futuro e Libertà, però, restano scontenti. «Fli onorerà l’impegno all’approvazione del provvedimento, solo se», ha chiarito ieri nel suo intervento Aldo Di Biagio, «l’intera maggioranza e l’esecutivo onoreranno quello a completarne il disegno, affrontando i punti in precedenza accantonati per carenza di risorse». Per i finiani, ha aggiunto, «il finanziamento dell’assunzione di almeno un terzo degli attuali ricercatori nel ruolo di associati e lo sblocco del sistema di scatti meritocratici che la riforma delinea sono punti imprescindibili. E come tali li tratteremo in ciascuna delle fasi dell’iter, che speriamo giunga a buon fine per dare delle soluzioni concrete».
Durissima la replica della Gelmini. «Chi chiede oggi il ritiro del ddl, come se anni di attese, di dibattiti di proposte fossero passati invano, si assume una responsabilità davvero enorme di fronte al sistema universitario e al Paese», ha tuonato a Palazzo Montecitorio il ministro. Un appello cui si è aggiunto quello della relatrice, Paola Frassinetti. «Questo ddl interviene strutturalmente a riformare l’università dopo 20 anni di tentativi di riforme», ha detto in aula l’esponente del PdL, sottolineando il «dovere di restituire ai giovani e al mondo del lavoro la consapevolezza che attraverso lo studio e la ricerca si possano risolvere problemi, affrontare innovazione e progresso in una nazione che riscopra il gusto di far corrispondere il successo, all’impegno, al senso di responsabilità e al merito».

La Lega ha già detto che non farà mancare il suo appoggio alla riforma. Pollice verso, invece, oltre che dal Pd («Si è puntato essenzialmente al risparmio», ha stigmatizzato il relatore di minoranza Luigi Nicolais) anche da Italia dei Valori e Udc, che insieme ai finiani critica anche l’articolo 25, che introduce un tutoraggio del ministero dell’Economia sul ministero dell’Università. Questa mattina, tanto per allentare un po’ la tensione, si parte con una pregiudiziale di costituzionalità presentata dal Pd che si riferisce a un passaggio del provvedimento relativo all’autonomia degli atenei. L’auspicio, forse ottimistico, della maggioranza è che si possa chiudere la partita alla Camera entro giovedì.

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