martedì 27 luglio 2010

Telecom riduce gli esuberi, ma l’accordo non si trova

Esuberi e banda larga. Il governo non molla la presa su Telecom. Ieri il viceministro dello Sviluppo, Paolo Romani, ha passato tutta la giornata ad occuparsi dell’ex monopolista dei telefoni. Ma dal doppio tavolo non sono ancora uscite soluzioni definitive. Sul fronte degli esuberi l’esecutivo si è per ora limitato a  incalzare le controparti per tentare di arrivare ad un accordo entro il 30 luglio, quando scadrà il congelamento dei 3.700 licenziamenti annunciati dall’azienda. Qualche giorno fa il ministro del Welfare Maurizio Sacconi aveva spiegato che la data non è un ultimatum, ma ieri l’ad Franco Bernabé ha continuato a parlare della fine del mese come di «una scadenza seria» entro la quale bisognerà «verificare quali sono le condizioni dell’accordo». Le posizioni, però, sembrano ancora distanti. Così almeno la pensano i sindacati, che ieri hanno definito «complicata» la trattativa e hanno puntato l’indice anche contro il governo che dovrebbe, secondo il segretario della Slc-Cgil, «fare la sua parte approntando gli strumenti che ha promesso» e valutando «la posizione rigida dell’azienda».
L’incontro si è concluso con un nulla di fatto, malgrado le aperture della Telecom che ha dato garanzia di non procedere a  esternalizzazioni attraverso la dismissione di rami d’azienda o la creazione di nuove società fino alla fine del 2012. Il gruppo avrebbe anche diminuito gli esuberi complessivi del piano 2010-2012 da 6.800 a 5.700. le proposte saranno valutate in un nuovo incontro previsto per il 27 luglio. 
Complicata appare anche la questione della banda larga, al centro del secondo tavolo presieduto da Romani. Anche qui il governo si è dovuto scontrare con le rigidità del gruppo, che sembra intenzionato a proseguire da solo sulla rete di nuova generazione. «L’obiettivo», ha spiegato il viceministro, «è di avere un disegno unitario dopo di che ci sono tutti i distinguo e le differenze possibili. Il governo vuole che il Paese abbia in tempi ravvicinati una grande infrastruttura di rete Ngn per almeno il 50% del Paese».
Ma Telecom nelle 13 città principali d’Italia, ha spiegato, «ritiene che ci sia un livello di concorrenza tale per cui non c’è bisogno di mettere a fattore comune un progetto». Da parte di Telecom, ha detto lo stesso Bernabè, c’è «disponibilità a trovare forme di cooperazione anche societarie» con gli altri attori sulle infrastrutture, ma solo nelle aree grigie dove non può esserci più di un operatore.
Romani spera comunque di chiudere entro gli inizi di settembre. «Abbiamo fatto molti passi avanti», ha detto.
A confondere un po’ le acque ci hanno pensato i leghisti, con un’interrogazione al governo in cui si chiede se esiste «un nesso tra le richieste di incremento dei canoni di concessione e le attuali linee di politica industriale dell’azienda». 

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