Novanta miliardi di euro. È questo il bottino della crisi a Piazza Affari. Soldi che le imprese quotate hanno bruciato in soli sei mesi di contrattazioni borsistiche. A cedere sotto i colpi del mercato sono state principalmente le società più grandi. Dall’inizio dell’anno l’Ftse Mib, l’indice dei titoli a maggiore capitalizzazione, ha perso il 19%. Ma la bufera ha travolto anche le medie e piccole. L’Ftse All Share, che raccoglie tutte le società presenti a Piazza Affari, ha lasciato sul terreno il 17 per cento.
Percentuali che, tradotte in euro, danno appunto il conto salato dei 90 miliardi. Il valore delle società quotate a Piazza Affari è infatti passato dai 480 miliardi di euro di gennaio, agli attuali 393 miliardi. Con un perdita di circa un quinto della capitalizzazione complessiva.
I sei mesi turbolenti, segnati dall’assalto degli speculatori, dal panico degli investitori e dalle difficoltà dei governi nel rimettere in sesto i conti pubblici, hanno pesato complessivamente su tutta l’Europa. L’indice delle principali società del Vecchio Continente (il Dj Stoxx 600) ha infatti chiuso il semestre in flessione dell’8%. E gli effetti della bufera economico-finanziaria si sono fatti sentire anche Oltreoceano, con Wall Street che nell’ultimo trimestre è scivolata del 10 per cento. Ma il calo vistoso di Piazza Affari resta una delle peggiori performance anche confrontandola con l’andamento dei listini di Paesi considerati molto più a rischio del nostro come Lisbona (-17,7%) e Dublino (-8,2%).
Peggio di Milano in Europa hanno fatto solo Madrid (-23,8%) ed Atene (-38,7%), che hanno registrato crolli pesantissimi. Per il resto, Parigi ha chiuso i sei mesi a -16,5%, mentre Londra ha perso il 12%. L’unica che ha tenuto è la piazza di Francoforte. La maggiore solidità dell’economia tedesca si è riflessa anche sull’andamento del Dax (il principale indice borsistico), che tra gennaio e luglio ha perso soltanto il 3,5 per cento.
La flessione media del listino di Piazza Affari nasconde, chiaramente, singoli ribassi ben più significativi. Tra le società più grandi la maglia nera spetta ad Italcementi, che nei sei mesi ha perso il 38,6%, seguita da Unipol (-37,2) e Fondiaria-Sai (-32,7%). Male anche le banche, a partire da Intesa (-31,9) e la Popolare di Milano (-31,3).
Ma i veri record si trovano tra i titoli a minore capitalizzazione, dove alcune società hanno registrato nei sei mesi perdite vertiginose. Telecom Italia media, ad esempio, ha bruciato in Borsa addirittura il 68% del suo valore, mentre Stefanel si è fermata ad un meno 57,8%. Che la situazione non sia stata facile per nessuno lo dimostra però la lista dei migliori dell’Ftse Mib, dove in settima posizione troviamo Exor, che ha comunque perso nei sei mesi lo 0,07 per cento.
Pur con il mare in burrasca c’è chi ha voluto lo stesso avviare la navigazione. A sfidare le intemperie dei mercati, mentre altre società come Moby o Kos facevano marcia indietro, è stata la piccola Tesmec, società fondata dalla famiglia Caccia Dominioni nel 1951, che si occupa di soluzioni per la costruzione e la manutenzione di reti elettriche aeree e interrate e tubi (pipeline).
Il presidente e amministratore delegato, Ambrogio Caccia Dominioni, ha affrontato l’avventura con coraggio: «Il fatto che siamo soli ad andare avanti potrebbe essere un’opportunità». L’ottimismo finora non è bastato. Lo sbarco a Piazza Affari di giovedì scorso è partito con una sospensione del titolo per eccesso di ribasso. Nel corso della seduta il titolo è riuscito a fare prezzo lasciando però sul terreno il 6,6%. Venerdì le cose non sono andate meglio (-7,2%), ma potrebbero farlo domani alla riapertura delle Borse.
Non a tutti, del resto, è andata male. Soprattutto tra i piccoli, i cui titoli oscillano maggiormente, c’è chi non si può davvero lamentare. Gli azionisti di Ternienergia e Marcolin ad esempio hanno potuto festeggiare la chiusura del semestre con rialzi mostruosi rispettivamente del 98,9% e 89,9 per cento.
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