«Fummo noi a chiedere che fosse garantito l’anonimato alla nostra società, ma i dettagli tecnici furono organizzati dalla Ernst & Young». Nel giorno in cui il pm di Roma Giancarlo Capaldo fa rotta verso la Svizzera per fare luce sulle disponibilità di Lorenzo Cola, il direttore generale della Digint, Nicola Mugnato, ricostruisce dal Salone di Farnborough le dinamiche finite nel mirino dei magistrati. «Ho fondato la Ikon (società cui faceva capo il software poi confluito in Digint, ndr) insieme a Ghioni (Fabio, il capo del tiger team Telecom, ndr.) intorno al 2000, ci occupavamo di intercettazioni informatiche su input delle forze dell’ordine per operazioni di contrasto al terrorismo islamico e alla pedopornografia». Ghioni se ne va nel 2003, ma alla fine del 2006, quando esplose lo scandalo Telecom la società venne comunque travolta dal fango dell’inchiesta. «Avevamo difficoltà a lavorare, a quel punto procure e servizi si interessarono al destino della nostra azienda, non volevamo buttare sette anni della nostra vita». Fu allora, per il tramite del capocentro Sismi di Milano, Pozzi, che spuntò l’ipotesi Finmeccanica. «Furono i servizi a presentarci Cola, che si qualificò come consulente di Finmeccanica, mi sono fidato», spiega Mugnato. L’imprenditore si fidò anche di Ernst & Young, alla quale chiese di garantire la sua privacy per motivi di “sicurezza personale”, vista la precedente attività di contrasto alla criminalità. Di lì l’idea, poco felice, di creare la lussemburghese Financial Lincoln e, come controllata, la Digint. Mai conosciuto Mokbel? «Assolutamente no», risponde Mugnato.
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