giovedì 17 dicembre 2009

Vince Tremonti: passa la mini-manovra

Fra polemiche e scontri, con il voto di fiducia di ieri, è arrivato il via libera della Camera all’ultima Finanziaria. Sempre ieri, infatti, il Senato ha approvato in via definitiva la riforma della legge di bilancio. Dal prossimo anno al posto della tradizionale manovra ci sarà la legge di stabilità, mentre il Documento di programmazione economica e finanziaria sarà sostituito dal Dpf, decisione di finanza pubblica.
Manovra light
Nel passaggio alla Camera il provvedimento è lievitato fino a 9,2 miliardi, di cui però solo 5,6 miliardi di saldo netto da finanziare in base ai criteri contabili previsti da Bruxelles. Una manovra light evidentemente ispirata al rigore. La versione definitiva è stata integrata con il dl che taglia gli acconti Irpef, la banca per il Sud, il codice delle autonomie e il patto per la salute. Le coperture arriveranno per 3,1 miliardi dal fondo in cui viene depositato il Tfr dei lavoratori dipendenti e per 3,9 da una prima distribuzione del gettito in arrivo dallo scudo fiscale. Il resto da alcuni tagli alla spesa.
La doppia fiducia
Al centro delle polemiche, più che i contenuti sono state le modalità di approvazione. Maggioranza e governo hanno infatti posto una sorta di fiducia in commissione Bilancio, con la presentazione di un maxi-emendamento a firma del relatore, non modificabile, che ha recepito tutte le modifiche proposte dall’esecutivo. Poi su quel testo è arrivata la fiducia vera e propria in Aula.
Una procedura che pur rispettando le indicazioni iniziali del presidente della Camera, alla fine ha spinto Gianfranco Fini a parlare di scelta «deprecabile». L’iter avrebbe infatti impedito il dibattito sulle proposte delle opposizioni. Al di là del pacchetto di emendamenti ispirato dal senatore Mario Baldassarri sul taglio delle tasse per imprese e famiglie e sulla cedolare secca degli affitti, presentato anche alla Camera più per mantenere una posizione di bandiera che per modificare realmente la Finanziaria, da Pdl e Lega non erano arrivate proposte particolari per ridisegnare la manovra.
Le “spese” del Pd
Diverso ovviamente il caso del centrosinistra, che in commissione aveva presentato centinaia di emendamenti poi ridotti ad una cinquantina per consentire il confronto in Aula. Ma quali erano queste proposte finite sotto la scure della fiducia? A riassumerle ci ha pensato il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, durante le dichiarazioni di voto.
Sinteticamente: 3,4 miliardi per aumentare le detrazioni fiscali ai lavoratori dipendenti e ai pensionati con redditi fino a 55mila euro, 600 milioni per aumentare le detrazioni fiscali per i figli, 500 milioni per il fondo di garanzia per il credito alle Pmi, 500 milioni per il rifinanziamento del credito di imposta per gli investimenti nel Sud e per la ricerca, 200 milioni per il rifinanziamento della detrazione del 55% per la riqualificazione degli edifici, 800 milioni per compensare i Comuni del minor gettito derivante dalla soppressione dell’Ici sulla prima casa, 1 miliardo per consentire alle amministrazioni locali di pagare parte dei debiti con le imprese, estensione della cassa integrazione a 104 settimane, assegno una tantum per i lavoratori precari che perdono il lavoro e l’estensione dei benefici con innalzamento dal 30 al 60% rispetto al reddito percepito nell’anno precedente.
Condivisibile o meno, si tratta chiaramente di un lungo elenco di voci di spesa, di cui Franceschini si è ben guardato dall’indicare le relative coperture. Ed è questo, probabilmente, il punto. Perché le misure chieste dall’opposizione non avrebbero potuto sostituire in toto gli interventi decisi da Giulio Tremonti. Che comprendono finanziamenti inderogabili alle missioni internazionali, alle forze dell’ordine, alla scuola e alla sanità. La spesa chiesta dal Pd si sarebbe dunque aggiunta a quella già calcolata col bilancino dal ministro dell’Economia per mantenere in sicurezza i conti pubblici ed avere la possibilità, come chiesto dalle agenzie di rating internazionli, di procedere con rapiditià nel 2010 all’abbattimento del debito e al rientro dal deficit.
Niente Irap
Questo non toglie che, forse, sin dalla discussione in commissione Bilancio si potesse ragionare su una rimodulazione delle pochissime risorse disponibili per fare piccoli passi verso una riduzione della pressione fiscale per famiglie e imprese. Verso misure in grado di favorire un rilancio dei consumi e dell’economia per cavalcare con più decisione i timidi venti di ripresa che sono iniziati a spirare nel Paese. Passi che il Tesoro ha però ritenuto prematuri.
Ieri in serata, comunque, si è conclusa alla Camera la seduta dedicata alle votazioni sugli ordini del giorno, nella quale il governo è stato battuto due volte (sulle risorse per la banda larga e la giustizia). Sono rimasti da votare due testi il cui esame è rinviato a questa mattina. Sempre oggi, a mezzogiorno, è previsto il voto finale sulla manovra. I testi passeranno poi all’esame del Senato per il via libera definitivo, previsto per martedì 22 dicembre.

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