mercoledì 16 dicembre 2009

Scoppia il caso spaghettopoli

Certo, ci sono i costi della distribuzione, gli effetti della crisi, il problema della filiera, le oscillazioni dei mercati. E anche l’invasione delle cavallette. Ma capire come si arriva dai 18 centesimi al chilo del prezzo del grano duro agli 1,4 euro al chilo della pasta, con un ricarico del 400%, è cosa che sfiora i limiti dell’umana comprensione. I risvolti surreali del maccherone-gate non sono sfuggiti all’Antitrust, che dopo due anni di indagini lo scorso febbraio ha comminato multe per 12,5 milioni di euro (sanzioni recentemente confermate dal Tar del Lazio).
Ma non sono sfuggiti neanche alla Procura di Roma, che sta tenendo sott’occhio il prezzo della pasta da un bel po’. Per svelare il segreto dello spaghetto a peso d’oro, ieri sono scese in campo le Fiamme Gialle, con una massiccia operazione svolta contemporaneamente in tutta Italia. I militari della Guardia di Finanza sono andati a bussare alle sedi della Barilla a Parma, della De Cecco a Pescara e Roma, del pastificio Garofalo a Gragnano, in provincia di Napoli, del pastificio Amato a Salerno, della Divella a Bari e dell’Unione pastai italiani a Roma. In tutti gli uffici sono state effettuate perquisizioni a caccia di documenti e materiale utile alle indagini.
Al centro dell’inchiesta, come si diceva, c’è l’aumento ingiustificato dal 2007 ad oggi di circa il 50 per cento del prezzo della pasta. L’attività investigativa è coordinata dal procuratore aggiunto Nello Rossi e dal sostituto Stefano Pesci. Il sospetto alla base dell’apertura del fascicolo è la creazione di un «cartello» organizzato dai maggiori produttori per far lievitare i prezzi neutralizzando la concorrenza. La procura procede per l’ipotesi di reato prevista dall’articolo 501 bis del codice penale, vale a dire manovra speculativa sul prezzo delle merci. Secondo quanto si è appreso per ora vi sarebbe solo una persona iscritta sul registro degli indagati, ma ben presto i nomi potrebbero aumentare. Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Roma ha sequestrato documenti e verbali, anche redatti in sede di riunioni dell’associazione di categoria, che potrebbero rappresentare la prova della manovra speculativa e la formazione del «cartello».
Il reato prevede una pena fino a tre anni di reclusione. L’indagine era stata avviata nell’ottobre del 2007 proprio in seguito all’iniziativa dell’Antitrust, che aveva messo sotto inchiesta ventinove tra i principali marchi della pasta italiana, tra cui Barilla, De Cecco, Di Vella, gli stessi finiti nel mirino delle Fiamme Gialle. Un’istruttoria che aveva fatto scattare la denuncia di Adoc, Adusbef, Federconsumatori e Codacons all’autorità giudiziaria.
Le cose, per i pastai, sembrano mettersi male. Sul maccherone-gate si erano già espressi chiaramente i giudici amministrativi del Lazio. Le imprese del settore della pasta accusate di aver creato un cartello, si legge nella sentenza del Tar dello scorso 29 ottobre, «risultano aver concordato forme di reciproca collaborazione preordinate alla pratica sostituzione del meccanismo concorrenziale con una prassi di concertazione delle politiche di prezzo». Ed è difficile trovare attenuanti, considerato che la pasta è il piatto preferito degli italiani. Con un consumo, secondo i dati di Coldiretti, che si aggira sui 26 chili a persona, tre volte superiore a quello di uno statunitense, di un greco o di un francese, cinque volte superiore a quello di un tedesco o di uno spagnolo. Malgrado i superprezzi l’anno scorso gli italiani hanno mangiato oltre 1,5 milioni di tonnellate di maccheroni. Per un controvalore, tutt’altro che trascurabile, di 2,8 miliardi di euro.

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