martedì 1 dicembre 2009

L’anomalia italiana: con la Cig aiuti dorati alle aziende e qualche spicciolo per i lavoratori

Lo scorso giugno Silvio Berlusconi assicurava che «non c’è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C’è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto».
Sui precari il Cavaliere ha un po’ esagerato, visto che tranne qualche obolo una tantum l’esercito dei lavoratori a termine è ancora tagliato fuori dal sistema degli ammortizzatori sociali. Ma sul resto non è andato molto lontano dal vero. Complice la crisi economica l’Italia si avvia infatti a chiudere l’anno con una cifra di ore autorizzate di cassa integrazione che si avvicina ai 100 milioni. Solo ad ottobre, secondo i dati dell’Inps, sono state 94,7 milioni, con un incremento del 322% e picchi per la cig in deroga del 700% e di quella ordinaria del 419%. In totale dall’inizio dell’anno sono state già autorizzate 716,7 milioni di ore contro le 166,7 milioni dello stesso periodo 2008. Un’anomalia? Non proprio. Basti pensare che nel 1993 le ore autorizzate furono 549 milioni e nel 1984 addirittura 816. La vera anomalia è invece il sistema di welfare italiano, l’unico al mondo dove piuttosto che offrire al lavoratore un sostegno al reddito per il tempo necessario a trovare un altro impiego, si concede all’azienda in difficoltà la possibilità di puntellare i posti in eccesso per periodi che possono a volte superare i due anni, con risorse fornite in parte dallo Stato (dei cittadini) e in parte con la contribuzione sociale (sempre dei cittadini). In altre parole, si aiuta l’azienda a non guarire (troppi costi, pochi ricavi) sapendo perfettamente che prima o poi la malattia diventerà incurabile.
Ma, come diceva Berlusconi, non c’è nessuno che non venga aiutato. In effetti, in Italia non ci facciamo mancare nulla. Accanto alla cassa integrazione ordinaria, a quella straordinaria e a quella in deroga (fattispecie che hanno ampliato a dismisura la platea delle imprese che possono usufruire della stampella pubblica), ci sono infatti anche i più efficaci trattamenti di sostegno al reddito. È il caso ad esempio dell’indennità di disoccupazione e dell’indennità di mobilità, l’unico trattamento che prevede un percorso di reinserimento del lavoratore nel tessuto produttivo.
Aiuti a pioggia, ma solo per chi ha il posto fisso e per chi lavora in grandi aziende. Lo Stato, infatti, corre in soccorso solo di chi il lavoro ce l’ha già da un bel po’ (almeno due anni di assicurazione presso l’Inps) e ce l’ha in imprese che abbiano almeno 15 dipendenti. Per gli altri, che secondo un recente calcolo della Cgia di Mestre rappresentano circa il 50% dei lavoratori dipendenti, niente.
Il risultato è che complessivamente, a quasi parità di spesa con gli altri Paesi europei, in Italia la copertura degli ammortizzatori sociali arriva a malapena al 28% contro il 70-80% di Francia e Germania.
Se questi sono i dati, la sensazione è che i leghisti andrebbero presi sul serio. Non sugli immigrati, ma sui sei mesi di limite per la cassa integrazione. Ridurre il periodo di accesso al trattamento consentirebbe non solo di trovare le risorse per rimodulare il sostegno alle categorie più svantaggiate di lavoratori, ma permetterebbe anche di scoraggiare le aziende furbette che utilizzano la cassa integrazione come una voce di bilancio con cui far quadrare i conti a fine anno.

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