giovedì 17 dicembre 2009

Il vertice verde perde i pezzi: si dimette il capo

Secondo il responsabile Onu della conferenza sul clima Yvo de Boer le prossime ore saranno decisive per il raggiungimento di un accordo sulla riduzione delle emissioni di CO2. La realtà è che a Copenaghen nessuno riesce più a capire se la situazione sia più caotica all’esterno del vertice o al suo interno, dove persino il presidente venezuelano Ugo Chavez, dopo aver accusato l’Occidente di aiutare le banche ma non il mondo, può permettersi di denunciare l’atmosfera di «dittatura imperiale» che avvolge i lavori.
Sta di fatto che mentre nelle strade le forze dell’ordine non sanno più come contenere la protesta dei no global, dentro il Bella Center la situazione è precipitata al punto che anche il ministro danese del Clima, presidente del vertice, ha deciso di gettare la spugna. Connie Hedegaard ha resistito finché ha potuto. Poi, ieri mattina, dopo aver presieduto l’ennesimo meeting, aver constatato che l’accordo è ancora lontano anni luce e aver incassato la dose quotidiana di critiche dai Paesi in via di sviluppo, ha rassegnato le dimissioni. Al suo posto è prontamente arrivato il primo ministro Lars Loekke Rasmussen, ma il destino del tanto atteso vertice sembra ormai appeso a un filo. Come avevano del resto pronosticato molti esperti della materia, frettolosamente accusati di pessimismo anti-ambientalista.
La sostanza è che a due giorni dalla conclusione della Conferenza, i leader politici dovrebbero fare un miracolo per trovare uno straccio di accordo. Obiettivo che finora i tecnici e i ministri dell’Ambiente sono stati ben lontani dal raggiungere. Oggi arriveranno tutti i leader europei, e anche il segretario di Stato americano Hillary Clinton, che precederà il presidente Usa Barack Obama atteso per domani, parteciperà a sorpresa ad alcuni incontri di lavoro. Già ieri, una quarantina di leader sono sbarcati nella capitale danese, tra cui il premier britannico Gordon Brown, il presidente Chavez, il premier cinese Wen Jiabao.
Il commissario Ue all’Ambiente Stavros Dimas è convinto che la presenza dei capi di stato e di governo sia in sè una garanzia di successo: «È impossibile che i leader mondiali ripartano a mani vuote mentre tutto il mondo si aspetta un risultato». Ma il suo ottimismo non appare molto condiviso.
Il premier britannico Gordon Brown ha detto chiaramente che sarà «molto difficile» trovare un accordo, mentre la presidenza svedese di turno della Ue, che aveva ipotizzato per oggi un vertice straordinario dei leader europei in margine alla conferenza, ha deciso per ora di non farne nulla: «Non ci sono fatti nuovi tali da giustificare una nuova riunione». Più speranzoso il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Durao Barroso, che non si dice né pessimista né ottimista, ma non esclude un accordo all’ultimo minuto. I riflettori sono tutti puntati su Usa e Cina. «Abbiamo già un mandato chiaro, deciso dal vertice Ue di ottobre. Ciò che ci manca è una risposta globale da parte di altri partner», ha spiegato il premier svedese e presidente di turno Fredrik Reinfeldt. Anche per il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, i due Paesi «sono responsabili della metà delle emissioni globali, ma anche del blocco dei negoziati. Le loro rigidità non permettono una conclusione».
Il risultato, al di là delle responsabilità, è lo stallo totale delle trattative e la mancanza di qualsiasi bozza di compromesso. Dopo settimane di entusiasmi e proclami, si torna a parlare di un negoziato che potrebbe al massimo scaturire in un vago accordino «politico» per poi rivedere il tutto il prossimo anno. Nella tarda serata di ieri il presidente americano Obama ha lanciato un messaggio di fiducia: «Spero che la mia presenza a Copenaghen sia utile per giungere ad un accordo sul clima». Per ora l’unico risultato certo ed evidente della Conferenza sul clima resta, purtroppo, il disastro organizzativo.

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