giovedì 10 dicembre 2009

Atmosfera subito insostenibile. Nasce il fronte anti-Obama

Al di là del folclore, della grandiosità della kermesse, dei dati fasulli sul riscaldamento globale e degli allarmismi dei militanti verdi, la verità è che a «Copenhagen non si firmerà alcun accordo». A riportare sul terreno della concretezza le aspettative sul vertice mondiale partito ieri è il superesperto del ministero dell’Ambiente, Corrado Clini. «Non ci sarà alcun impegno degli Stati per una riduzione delle emissioni di Co2 dopo il 2020», ha spiegato il direttore generale del dicastero guidato da Stefania Prestigiacomo, «perché la Cina non è pronta e neanche gli Stati Uniti lo sono». Ieri un po’ di pressing è arrivato dall’Agenzia Usa per la protezione dell’ambiente, che ha lanciato l’allarme sulla pericolosità dei gas serra, lasciando intendere di essere pronta ad intervenire anche senza l’autorizzazione del Congresso. Ma la realtà è che il Senato deve ancora esaminare la legge che introduce l’abbattimento del 17% entro il 2020 rispetto al livello raggiunto nel 2005 (se si calcolasse il 1990 sarebbe del 3%).
Insomma, «l’appuntamento di Copenhagen è stato caricato di molte aspettative improprie». Detto questo, l’annuncio di Barack Obama di partecipare alla fase finale del summit è un segnale importante. La speranza è che il presidente degli Stati Uniti possa favorire l’accordo su una dichiarazione politica, non troppo vaga, che stabilisca «obiettivi concreti per arrivare alla preparazione di un Trattato entro il 2010». Una tappa importante sarà quella del Consiglio europeo di giovedì, quando la Ue dovrà decidere se andare avanti da sola o no. L’obiettivo è arrivare ad un accordo internazionale condiviso. Altrimenti, ha tagliato corto Clini, «è inutile farlo». «Non possiamo accettare intese che siano vincolanti per qualcuno e un optional per altri», ha ribadito il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Così come il ministro Prestigiacomo, che ha parlato di «vittoria storica» se, «a differenza di Kyoto, si arrivasse ad uno sforzo globale».
Uno tra i principali nodi da sciogliere riguarda l’impegno dei Paesi sviluppati a sostenere economicamente i Paesi in via di sviluppo per consentirgli di fissare un picco massimo oltre il quale le emissioni inizieranno a scendere. Secondo il Financial Times Deutschland la Ue è pronta ad offrire «tra 1 e 3 miliardi di euro» di aiuti immediati nei prossimi tre anni. Un’inezia considerato che il Brasile ha chiesto ai Paesi ricchi e industrializzati circa 300 miliardi di dollari. E che la Cina ha detto chiaramente che «i poveri non devono pagare al di là delle loro capacità» Qualche briciola di ottimismo, però, serpeggia. Gli Stati “ribelli”, (India, Cina e Brasile in testa), avrebbero infatti raggiunto un’intesa di massima per operare insieme nel negoziato di Copenaghen. A rivelarlo è stato il ministro per l’Ambiente indiano, Jairam Ramesh, che ha anche annunciato un progetto di riduzione volontaria del 20-25% delle emissioni entro il 2020. Una disponibilità che potrebbe sbloccare le trattative, visto che anche il Sudafrica si è detto pronto a rallentare la Co2 del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025.
Al successo del summit, che è iniziato con un video choc interpretato da bambini e si concluderà tra due settimane, lavoreranno i rappresentanti di 192 Paesi e moltissimi capi di Stato e di governo. «Ad oggi sono 110 ad avere annunciato il loro arrivo a Copenaghen per partecipare agli ultimi giorni dei lavori. È una mobilitazione politica senza precedenti», ha detto il primo ministro danese, Lars Loekke Rusmussen, che presiede i lavori e dovrà dirigere i negoziati, alla cerimonia di apertura della 15esima conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici.
Resta tutto da verificare, in ogni caso, il teorema di base. Per il fronte degli scettici non c’è alcuna prova che siano le emissioni a riscaldare il pianeta e comunque i costi della loro riduzione sono superiori agli investimenti per l’adattamento climatico. Sul fronte opposto, gli scienziati dell’Onu prevedono per il 2100 un aumento delle temperature che a seconda delle politiche perseguite, potrebbe essere di 1,6 gradi ma anche di 6, con effetti che gli stessi definiscono catastrofici per il pianeta. Per ora a rischiare l’insostenibilità ambientale è il Bella Center, sede del vertice, che è stato preso d’assalto dai delegati: erano previsti 15mila, ne sono arrivati 34mila.

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