martedì 1 dicembre 2009

Alfano smentisce ancora i numeri delle toghe: «Il processo breve ferma solo l’1% delle cause»

«I numeri non hanno colore politico», sostiene Angelino Alfano. Eppure, è proprio lì che lo scontro sul processo breve continua ad incendiarsi. Ieri, davanti alla commissione Giustizia della Camera, l’ennesimo round.
Il Guardasigilli si è presentato a Montecitorio con tabelle e cifre messe nero su bianco. Dati ricavati da calcoli effettuati con scrupolosità dal direttore dell’ufficio di statistica (Fabio Bartolomeo) del ministero della Giustizia. Una volta approvato, ha spiegato Alfano, il disegno di legge sul processo breve, porterà a prescrizione l’1% degli oltre 3 milioni e trecentomila processi in corso. L’incidenza sarà del 9,2% sui 391.917 procedimenti in primo grado. «Queste», ha proseguito, «le cifre chiave che ho detto e che ribadisco. Voglio nuovamente riferire che nel quinquennio 2004-2008 si sono prescritti nel nostro Paese circa 850mila processi con una media di 170mila processi l’anno prescritti, con una media di 466 processi al giorno prescritti».
Numeri, statistiche? Macché, secondo il vicepresidente del Csm , Nicola Mancino, intervenuto nella stessa sede, «allo stato nessuno può dire con sufficiente certezza a quanto ammonti la percentuale dei processi che ricadrebbero nella sanzione di estinzione ipotizzata nel disegno di legge in discussione. Ciò che in questo momento è possibile ricostruire è la condizione delle diverse realtà giudiziarie del paese ed effettuare un conteggio non troppo approssimativo del numero dei processi a rischio». E tra questi, inutile dirlo, ci sarebbero procedimenti per reati di «sicuro rilievo sociale», come gli omicidi e le lesioni con colpa professionale, reati di natura economica e finanziaria o contro la Pa. Qui, secondo Mancino, le statistiche sono certezza: «Nessuno di tali reati riesce ad essere ultimato nel biennio».
E pochi dubbi, con buona pace degli esperti del ministero, ci sarebbero anche sui dati forniti dall’Anm, che il presidente Luca Palamara definisce caratterizzati da «un’attendibilità molto alta». Il magistrato, sempre davanti alla commissione Giustizia, ha introdotto il concetto di previsione «dinamica» contrapposta a quella banalmente «istantanea» come quella elaborata da Via Arenula con i dati rilevati su tutto il territorio nazionale. Col nuovo metodo si apprende allora che a Roma sarebbero a rischio tra il 45% e il 70% dei processi, a Bologna il 23 e a Verona il 25.
Ma anche dal Csm arrivano molti dati. I processi a rischio nel primo grado, secondo quanto riferito dal componente della stesa commissione, Ezio Macora, sarebbero il 40% a Napoli, il 40% a Roma e il 23% a Torino.
Risultati che secondo il vicepresidente dei senatori del Pdl, ci riportano a Mancino. «Di fronte a queste rilevazioni fai da te», ha detto Gaetano Quagliariello, «possiamo essere d’accordo col vicepresidente: non hanno sufficiente certezza per poter essere prese in considerazione».
Numeri a parte, Alfano ha ribadito che nessuno ritiene «che con il ddl sul processo breve si risolvano tutti i problemi di giustizia italiana», tuttavia si tratta di «una leva per portare tutto il sistema a piena funzionalità». Quanto ai reati di mafia, ha spiegato l’avvocato e parlamentare del Pdl, Niccolo Ghedini, in risposta alle polemiche dei giorni scorsi, «non c’è alcuna volontà di modifica il concorso esterno in associazione mafiosa e neanche di modificare la legge sui pentiti».

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