martedì 1 dicembre 2009

Lo sceicco non paga, le Borse cadono

«Dubai World è del governo, ma non è garantita dal governo». E il panico riesplode, trascinando giù anche i mercati europei. Nei giorni scorsi, approfittando delle festività islamiche e del conseguente stop delle Borse dei paesi del Golfo, sia la Banca centrale degli Emirati arabi, sia il vicino Abu Dhabi, avevano tentato di gettare acqua sul fuoco, assicurando tutto il sostegno necessario per evitare che la crisi finanziaria di Dubai World si trasformi in un cataclisma. A riportare la tensione alle stelle ci ha pensato ieri il direttore generale del ministero delle Finanze dell’emirato, Abddulrahman al-Saleh, il quale ha spiegato con chiarezza la natura dei legami che uniscono la holding a rischio default al governo. «I creditori», ha spiegato durante una trasmissione televisiva, «dovranno assumersi la loro parte di responsabilità per la loro decisione di prestare soldi alle compagnie». Questo perché, ha aggiunto, «il governo è il proprietario della compagnia, ma fin dalla sua fondazione è stato stabilito che la compagnia non è garantita dal governo».
Risultato: listini in profondo rosso. A partire da quelli del Dubai, dove il crollo è stato del 7,3% (il maggopre dall’ottobre 2008), con tutti i gruppi bancari ed edilizi in picchiata. E le ripercussioni si sono fatte pesantemente sentire anche sulla borsa di Abu Dhabi, che ha registrato un calo dell’8,3% (il crollo più concistente da 8 anni). In perdita anche la borsa dell’Egitto (-6,86%) mentre quelle dell'Arabia Saudita e del Kuwait si sono salvate soltanto perché ancora chiuse. Più contenuto, seppure sensibile, il contraccolpo sulle piazze finanziarie europee. A Milanol’Ftse Mib ha ceduto l’1,25% e l’Ftse All Share l’1,21%. Anche gli altri listini principali del Vecchio continente hanno chiuso con perdite vicine al punto percentuale.
Paure ingiustificate? Ne è convinto il governatore della Banca centrale degli Emirati, Sultan Al-Suwaidi, che ieri, vista la situazione, è tornato ad usare parole rassicuranti sulla solidità degli istituti di credito dell’area, sostenendo che «le banche hanno un’ampia base di depositi stabili e sono in condizioni migliori, in termini di liquidità, di quanto fossero un anno fa».
Si tratterebbe invece di una reazione «gonfiata», anche per Dahi Khalfan, che dirige la Commissione per il bilancio governativo di Dubai per il 2010. «C’è confusione e ambiguità», ha detto, «tra l’indebitamento di alcune aziende locali e il debito del governo di Dubai, che è quasi trascurabile».
Per quanto riguarda il Dubai World, i tecnici di Deloitte, Rotshschild e Alix Partners sono al lavoro sulla ristrutturazione del debito e ci sarebbero diverse opzioni allo studio. La holding potrebbe ripagare, entro la scadenza del 14 dicembre, il “sukuk” (il bond islamico) da 3,52 miliardi di dollari emesso da Nakheel, l’operatore immobiliare famoso per aver realizzato le isole a forma di palma e riscadenzare il resto del debito. Un’altra soluzione potrebbe essere il rimborso dell’80% del valore del debito sia ai detentori dei bond che alle banche. Oppure Dubai World potrebbe proseguire nel progetto di chiedere una moratoria del debito già annunciato con un congelamento dei pagamenti fino al 30 maggio dell’anno prossimo.
Al di là dell’obbligazione in scadenza, resta da capire quale sia la situazione complessiva della holding statale alle prese con passività per 59 miliardi di dollari. C’è anche chi ipotizza scenari più drammatici di quelli finora usciti allo scoperto che costringerebbero il gruppo ad imbarcarsi in una liquidazione di asset in risposta a possibili azioni legali da parte dei creditori.

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