Un po’ di bordate a destra e, soprattutto, a manca. E poi via verso l’Europa, per conferire con gli alleati sull’andamento della campagna elettorale. La giornata di Mario Monti è iniziata con una lunga intervista a Nove in Punto di Radio 24, dove il premier ha ribadito la minaccia di una nuova manovra aggiuntiva se gli italiani non lo lasceranno guidare ancora il Paese. Più che Silvio Berlusconi, però, questa volta i bersagli sono Nichi Vendola e la Cgil, in altre parole i suoi possibili futuri compagni di coalizione con cui il Prof sta cercando ormai da giorni di prendere le misure prima del voto. E non è un caso che gli affondi più duri contro la sinistra radicale siano arrivati proprio ieri mattina, poche ore prima della colazione di lavoro con il presidente della commissione Ue, Josè Manuel Barroso, e alla vigilia del bilaterale a Berlino con la cancelliera Angela Merkel. Un modo per presentarsi in Europa con i compiti fatti e dimostrare soprattutto alla Germania di essere in grado di tenere a bada le componenti più scomode della coalizione di centrosinistra.
Nei confronti del leader di Sel il premier uscente arriva persino a dire che la sua presenza in una maggioranza di governo potrebbe far riprecipitare l’Italia nel baratro della crisi, con la conseguenza di dover di nuovo, inevitabilmente, mettere le mani nelle tasche degli italiani per far tornare i conti a posto. Se Vendola sarà al governo, lo spread crescerà? «Dipende da quale ruolo» avrà. «Se lui avesse un grande impatto e prima che i mercati si accorgano che è un solido cultore della disciplina finanziaria magari qualche problemino ci sarebbe», ha ironizzato Monti rispondendo alle domande del conduttore. Ma ce n’è anche per la Cgil. «Non è con la spesa pubblica che si fa crescita», ha premesso il premier, ammettendo poi dopo di riferirsi al manifesto presentato dal sindacato rosso: «Si vede che sono stato piuttosto esplicito».
Poi, il Prof si è avventurato in un improbabile elogio degli alleati Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, sostenendo che sono stati loro, nell’ultimo anno, a rappresentare la vera anima riformista del Parlamento, senza mai mettere i bastoni tra le ruote al suo progetto di governo.
Poi il premier ha ribadito che sulle alleanze post voto può solo «escludere» che la sua «forza politica sosterrà governi che non abbiano un chiaro istinto e programma di riforme». Monti ha anche puntualizzato che «non siamo ancora a un governo targato Bersani. Certo, se avessimo avuto più di due mesi.. Ma credo che i risultati siano già buoni. Oggi leggo che siamo al 18%, ogni punto è benvenuto. Tutti ci battiamo per avere voti, questo è il mestiere, un mestiere nuovo per me».
E nella nuova veste di candidato ieri ha iniziato l’ennesimo tour dai suoi amici europei. Nel pomeriggio a Bruxelles per vedere Barroso, poi la sera la presentazione di un libro. E oggi l’appuntamento più importante, quello con la Merkel, che vedrà in un bilaterale a Berlino dove si parlera, spiegano fonti europee, anche «dello stato delle riforme italiane».
E domenica potrebbe esserci anche il tempo di una scappatella a Parigi per incontrare il presidente Francois Hollande. Tutti incontri, inutile dirlo, rigorosamente istituzionali volti a preparare l’agenda del prossimo Consiglio europeo.
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