Mario Monti continua a mettere le mani avanti, spiegando che «non bisogna farsi prendere da una prospettiva troppo angusta», ma anche lui alla fine è costretto ad ammettere che l’ipotesi di una nazionalizzazione di Mps, martedì scorso negata con forza dal ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, è concretamente sul tavolo. «La diminuzione della quota della fondazione ed aumento della quota dello Stato nel capitale», ha detto il presidente del Consiglio uscente intervenendo a Radio24, «potrebbe essere una extrema ratio e rivelarsi inevitabile se il Monte fosse in difficoltà gravi e perdurasse, ma vorrebbe dire una parziale nazionalizzazione».
Quella che il Prof definisce «extrema ratio» sembra in realtà uno degli scenari più probabili verso cui si sta avviando la banca di Rocca Salimbeni. A valori attuali di Borsa (circa 3 miliardi di capitalizzazione), tenendo conto dell’aumento dello 0,5% annuo degli interessi che si va ad aggiungere al 9% di base, se il Tesoro dovesse convertire in azioni i 3,9 miliardi di Monti bond entrerebbe nel capitale di Mps, secondo i calcoli fatti da Grilli, con oltre l’82% del capitale. «Spero che paghino presto», ha detto martedì il titolare di Via XX Settembre. Ma la possibilità che il Monte possa trovare le risorse per restituire il prestito è assai remote. Gran parte dell’operazione è appesa, ancora una volta, all’andamento dello spread.
La principale zavorra sui conti di Mps è infatti rappresentata dal macigno di circa 24 miliardi di euro in titoli di Stato, di cui oltre il 60% in Btp decennali. Al 30 settembre scorso, secondo le rilevazioni dell’Eba, che ha imposto alle banche di calcolare i bond ai fini dei requisiti patrimoniali con il loro valore di mercato attuale, le minusvalenze potenziali registrate da Mps ammontavano a 3,2 miliardi. Lo spread si è ristretto molto da allora, passando dai 370 punti base ai 260 di ieri. Ma per alleggerire il bilancio della banca senese ci vuole ben altro. Per assorbire la minusvalenza il differenziale dovrebbe scendere addirittura intorno ai 160 punti. Una prospettiva non proprio dietro l’angolo.
Senza contare che nello stesso periodo, ovvero entro il 2014, la banca dovrà anche rimborsare ben 29 miliardi presi in prestito dalla Bce (con la garanzia dello Stato) nel corso delle due aste di liquidità Ltro varate da Mario Draghi. In questo scenario, Mps il primo luglio 2014 la banca dovrebbe emettere altre obbligazioni, arrivando a circa 4,5 miliardi di debito con lo Stato. A quel punto, nel 2015 la cedola da pagare al tesoro sarebbe di quasi 430 miliardi, Se si pensa che il piano di Mps prevede di raggiungere 630 milioni di utili solo a fine 2015 e che nel frattempo bisognerà riportare l’incide di patrimonializzazione dall’attuale 7,2% (secondo le stime di Mediobanca basate sill’andamento dello spread) al 9% previsto dalle autorità europee, appare evidente che i conti non tornano.
Una cosa, comunque, è certa: la Fondazione resterà a bocca asciutta per un bel po’. Ieri l’ente di Palazzo Sansedoni che controlla Mps e che vive dei suoi dividendi ha diffuso il documento programmatico in cui si annuncia il taglio delle erogazioni per il 2013 ad un massimo di 5 milioni di euro, che potrebbe anche azzerarsi se la situazione peggiorerà. Per restare a galla sarà inevitabile l’annunciata cessione di una quota della banca. L’obiettivo «prioritario» è infatti la riduzione, fino all’azzeramento, dell’indebitamento (ora 350 milioni). Per ottenere questo risultato la Fondazione Mps, pur continuando «a svolgere il proprio ruolo di azionista istituzionale di riferimento in modo discreto, ma fermo, affinchè tutti gli obiettivi del Piano Industriale siano raggiunti», ha intenzione di scendere nel capitale di Mps dall’attuale 33,5% ad una quota inferiore al 30%. Quando, ovviamente, le condizioni di mercato lo permetteranno.
Le prospettive di nazionalizzazione e le continue indiscrezioni che arrivano dai palazzi di giustizia hanno mandato a picco il titolo, che ieri ha chiuso la seduta di Borsa in calo del 9,46%.
Sul fronte giudiziario si è appreso che sul registro degli indagati della procura di Siena ci sono non solo i nomi degli ex vertici, ma anche la stessa banca, indagata per responsabilità amministrativa sulla base della 231.
Intanto la banca ha smentito le notizie di stampa relative ad accretamenti fiscali sulla cessione dell’immobile in Via dei Normanni a Roma. Mps ha anche precisato di «non essere a conoscenza di vertenze fiscali aventi ad oggetto l’acquisto di azioni Unipol». La banca ha anche smentito le indiscrezioni di Panorama secondo cui ci sarebbero in vista un altro buco di 500 milioni legato ad un’operazione finanziaria denominata Chianti Classico. Si tratta solo, ha spiegato la banca, di «una ipotesi di ristrutturazione dell’operazione sottoposta al cda», a cui non sono «connessi rischi di perdite straordinarie»
Ma ad indagare, da ieri, c’è anche la solita procura di Trani, che punta il dito sulle authority di controllo. In seguito ad un esposto dell’associazione dei consumatori l’ufficio giudiziario ha infatti aperto un fascicolo per omessa vigilanza da parte della Banca d’Italia e della Consob. Si ipotizzano anche i reati di truffa, aggiotaggio e manipolazione del mercato.
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