Se non ci fossero in gioco i posti di lavoro di centinaia di persone, i risparmi degli italiani e la stabilità del sistema creditizio nazionale ci sarebbe da ridere. Il violento terremoto che si è abbattuto sul Monte dei Paschi di Siena in piena campagna elettorale ha provocato a sinistra (ma anche tra i montiani, visto che i soldi per il salvataggio sono stati prestati dal governo in carica) il classico si salvi chi può, con uno scomposto fuggi fuggi nel tentativo, assai difficile, di scampare al crollo delle macerie.
Laconico e conciso il commento di Pierluigi Bersani: «Nessuna responsabilità, per l’amor di Dio... il Pd fa il Pd, le banche fanno le banche». Una dichiarazione da bacheca, destinata a finire incorniciata accanto a quella, ben più famosa, di Piero Fassino riferita all’operazione Unipol-Bnl «abbiamo una banca».
Parole che faranno probabilmente sorridere il suo avversario delle primarie Matteo Renzi, che dal segretario del Pd era stato bacchettato per i suoi rapporti con il finanziere Davide Serra, definito senza mezzi termini «bandito» per le attività del fondo Algebris nel paradiso fiscale delle Cayman. Sarà un caso, ma a Siena, dove Renzi in un comizio aveva chiamato direttamente in causa i vertici del Pd per il dissesto di Mps, il sindaco di Firenze ha preso il 54,2% delle preferenze contro il 36% di Bersani.
Curiosa anche la scelta del responsabile economico del Pd Francesco Boccia, che di fronte al crollo della roccaforte della finanza rossa non trova di meglio che accusare «l’asse Pd-Lega» che con «il sostegno del governo Monti» avrebbe ostacolato la stretta sull’utilizzo dei derivati ostacolando «una battaglia solitaria» del Partito democratico.
C’è poi l’ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi, plenipotenziario del Pd a Siena e considerato uno dei principali artefici dell’ascesa di Giuseppe Mussari alla presidenza della Fondazione Mps nel 2001, che già la scorsa estate, dimettendosi dall’incarico (ma ora si ricandida) aveva tuonato: «La politica non deve stare nelle banche». Ed ora rivendica invece di essere stato da sindaco «il primo a chiedere un cambiamento al vertice della Banca». E infine se la prende con la Cgil, che avrebbe un peso eccessivo nella banca.
Pure tra i montiani, però, se ne vedono delle belle. Anche perché qualcuno ha fatto notare il prestito da 3,9 miliardi concesso dal governo Monti per il salvataggio di Mps coincide quasi esattamente con i soldi prelevati dalle tasche degli italiani con l’Imu sulla prima casa.
L’esponente di Fli, candidato al Senato nella lista Scelta Civica, Benedetto Della Vedova, punta il dito senza esitazione, così come gran parte degli esponenti politici di tutti gli altri schieramenti, contro la sinistra. «La responsabilità», spiega, «è dell’azionista politico che ha gestito la fondazione che controlla il Monte dei Paschi. Ed è una responsabilità politica che devono assumersi pienamente e pubblicamente Pds, Ds e Pd: la sinistra che ha governato Siena e la Fondazione, determinando la gestione fallimentare della banca».
Più complicata, però, la situazione di Alfredo Monaci, numero 3 in Toscana della lista Monti alla Camera, nonché membro del cda di Mps fino all’arrivo, lo scorso anno, di Alessandro Profumo, ed ex presidente della controllata Biverbanca. Anche Monaci, ex dc legato a doppio filo al presidente della Fondazione Gabriello Mancini e indicato lo scorso anno come vicepresidente della banca, è convinto che «ognuno si debba assumere le sue responsabilità politiche». Nel suo mirino, però, c’è l’attuale gestione. «Chi dice che la politica è fuori dal Monte dei Paschi», spiega, «si sbaglia, perché Profumo è espressione della politica». Poi, l’immancabile presa di distanze. «Quello che oggi emerge», dice, «è riferito a fatti antecedenti alla mia presenza nel cda del Monte dei Paschi».
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