domenica 13 gennaio 2013

Parte il risiko per il riassetto di Alitalia

Svendere al miglior offerente oggi o rischiare di gettare direttamente le quote nel cestino domani? È questo il dilemma che dalla mezzanotte di ieri attanaglia i soci italiani della ex compagnia di bandiera. Con lo scoccare del dodicesimo rintocco è infatti venuto meno il famoso lock up, ovvero il divieto per quattro anno di cedere il proprio pacchetto di azioni di Alitalia.

Un vincolo posto dal governo nel 2008 per evitare che i vantaggi concessi ai venti capitani coraggiosi (tra cui Riva, Intesa, Benetton, Immsi, Pirelli, Fonsai, Gavio, Angelucci, Toto, Vitrociset, Marcegaglia) della cordata Cai guidata da Roberto Colaninno finissero monetizzati il giorno dopo in barba all’italianità dell’operazione. Ora, però, a quattro anni di distanza, le cose non si sono messe benissimo. La compagnia si avvia infatti a chiudere un altro anno in rosso. Nonostante un miglioramento nel terzo trimestre di diversi indicatori economici e di performance, a settembre 2012 l’ultima riga di bilancio era negativa per 173 milioni, in riduzione rispetto ai 201 del 2011, con oltre 800 milioni di debiti.
La voglia di vendere, insomma, non manca. Anche perché, malgrado le smentite dell’ad Andrea Ragnetti, l’ipotesi che i soci di Alitalia debbano presto rimettere mano al portafoglio per ricapitalizzare la compagnia è tutt’altro che peregrina. Il problema è a chi. E a quanto. In pole position c’è, ovviamente, Air France, che già detiene il 25% del capitale. Indiscrezioni dei giorni scorsi hanno ipotizzato un acquisto carta contro carta (con scambio di azioni) per un importo complessivo più alto del 20% rispetto all’esborso iniziale.

Ma anche a Parigi non navigano nell’oro. E dal quartier generale di Ai Frances si sono affrettati a smentire che ci siano «negoziati in corso per acquistare tutte o parte delle azioni in mano agli investitori italiani». Il vettore franco olandese non ha le disponibilità necessarie a una operazione di questo genere, ha detto chiaramente Alexandre de Juniac, ad della compagnia d’Oltralpe. Così come un passo indietro avrebbero fatto per ora anche gli arabi di Ethiad Airways. La compagnia di Abu Dhabi ha comfermato di «continuare a guardare alle apportunità di investimento in altre compagnie aeree». Ma la mossa non sarebbe comunque risolutiva. Essendo un soggetto extracomunitario, Ethiad non potrebbe andare oltre una quota di minoranza. Molto fumose, e discutibili, infine, sono le ipotesi che vedrebbero scendere in campo per l’ennesima volta la mano pubblica, attraverso le Fs o la Cdp.
Resta il fatto, però, che continua così tra un po’ le quote in mano ai soci non varranno più niente. Air France ha già svalutato il suo 25% da 338 milioni a 274. Più drastico il ridimensionamento dei Benetton, che hanno tagliato il valore della quota (8,85%) del 59% portandola da 100 a 41 milioni. Stesso discorso per Pirelli, che ha portato l’1,77% da 20 a 9,7 milioni.  Anche Intesa ha utilizzato un meccanismo contabile per portare da 100 a 75 milioni il suo 8,85%. L’unica a mantenere fermo il valore a 50 milioni (per il 4,4% di Alitalia) è la Fonsai dei Ligresti. E si è visto come è andata a finire.

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