venerdì 8 febbraio 2013

Il Prof dà i numeri via 29 miliardi di tasse

Mentre Mario Monti era impegnato a Bruxelles nei negoziati sul bilancio europeo, l’account ufficiale di twitter @SenatoreMonti ha iniziato a sfornare pillole di proposte elettorali sul fisco, sull’occupazione, sulle politiche industriali e sui tagli alla spesa pubblica. Avrebbe potuto farlo lui stesso, considerata la maestria dimostrata nel simpatico teatrino messo abilmente in scena con Daria Bignardi nel corso della trasmissione di mercoledì sera su La7. Il compito è stato, invece, affidato al suo staff, che, utilizzando la parola chiave (hashtag) #AgendaCrescita ha inondato il web con brani del documento pubblicato nelle stesse ore su uno dei siti ufficiali di Scelta Civica, ovvero www.agenda-monti.it.

Forse resosi conto della vaghezza di molte delle proposte contenute nel manifesto con cui è sceso in campo all’inizio di gennaio, il Prof ha deciso di tentare l’affondo, scopiazzando qua e là proposte un po’ più dettagliate e accattivanti per gli elettori. Al primo posto, manco a dirlo, il fisco, su cui Silvio Berlusconi ha costretto praticamente tutti a convergere. Ed ecco allora, le proposte choc di Monti, che dopo aver deriso le cifre del Cavaliere si getta nella quantificazione della riduzione a regime del carico tributario. «Per rilanciare i consumi e l’economia», si legge, «la nostra proposta è ridurre la pressione fiscale sul reddito da lavoro, attraverso una progressiva riduzione dell’Irpef». La stima per la fine della legislatura è di «una riduzione del gettito Irpef di oltre 15 miliardi». Si arriva così all’Irap, dove «il gettito nel 2017 sarà circa 11,2 miliardi meno del livello attuale». Si tratta già di oltre 26 miliardi da recuperare. E non è finita. Il programma prevede un intervento sull’Imu, «aumentando la detrazione sulla prima casa da 200 a 400 euro, raddoppiando le detrazioni per figli a carico da 50 a 100 euro per figlio, introducendo una detrazione di 100 euro per anziani soli e persone con disabilità, fino ad un massimo di 800 euro». Il che fa altri 2,5 miliardi di gettito Imu in meno.

Il tutto sarà finanziato anche con la lotta all’evasione: «Ogni singolo euro raccolto dal contrasto a chi non paga le tasse sarà usato per abbassarle a chi invece le paga». Il veicolo sarà quel fondo anti tasse che lo stesso Monti e il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, nel corso degll’ultimo anno, malgrado le pressioni, tra gli altri, del collega dello Sviluppo economico Corrado Passera, hanno sempre impedito che nascesse. Poi, in neretto, la solenne promessa: «non verrà introdotto alcun condono fiscale». Per alimentare l’occupazione, udite udite, arriva «la detassazione per le imprese che assumono giovani under 30», praticamente la prima proposta che ha fatto Berlusconi quando ha deciso di scendere nuovamente in campo. Poi, in barba al lavoro svolto dal suo ministro Elsa Fornero, Monti propone di ridisegnare un’altra volta la legislazione sul lavoro, con nuovi contratti di lavoro, più flessibili, a tempo indeterminato e l’introduzione di un contratto di ricollocazione, finanziato dall’impresa che licenzia e dal fondo sociale europeo.

La parte più bella è quella sulle misure per la competitività, dove si ripropone tutto quello che il governo tecnico non è riuscito a fare con la maggioranza bulgara della grande coalizione e la minaccia del fallimento dell’Italia. «Proseguiremo», si legge nel documento, «l’azione per la semplificazione amministrativa puntando alla riduzione delle autorizzazioni e degli adempimenti burocratici». E ancora sulle liberalizzazioni. L’obiettivo «è di proseguire il programma di apertura dei mercati dei prodotti e dei servizi mediante il ricorso periodico alla legge annuale sulla concorrenza, far partire l’Autorità dei Trasporti e prevedere una legge quadro per rafforzare le Autorità Indipendenti». Che poi l’autorità dei trasporti sia nata come toppa per neutralizzare la separazione tra la società pubblica ferroviaria e la rete, inserita inizialmente nel decreto da Passera, e che nessuno successivamente si sia preoccupato di renderla operativa, malgrado la norma di legge è altra storia.

Si arriva infine alla tanto amata spending review. L’idea, non tanto choc considerate le proporzioni complessive della spesa pubblica, è quella di «un percorso per la spesa pubblica corrente che comporti al termine della legislatura una riduzione cumulata del rapporto tra spesa pubblica corrente primaria (al netto di interessi) e Pil di circa il 4%, in modo tale da raggiungere, alla fine del 2017, un livello di questo rapporto attorno al 39%». L’opera di riduzione avverrà principalmente sull’acquisto di beni e servizi. Ma chiaramente anche «il taglio dei costi della politica sarà tra i primi obiettivi», così come la «razionalizzazione», guai a parlare di tagli, della spesa sanitaria. Mentre quella per l’educazione aumenterà di 8 miliardi nell’arco della legislatura. Sul capitolo dismissioni, infine, l’obiettivo è di cedere «patrimonio mobiliare ed immobiliare dello Stato per complessivi 130 miliardi di euro durante l’arco della legislatura». L’ultima chicca è sul fiscal compact, tema su cui il prof è agli antipodi rispetto al Pdl: «Non riteniamo sia utile proporre iniziative
unilaterali di modifica del Fiscal compact». Che ogni anno, aggiungiamo noi, costringerà l’Italia ad abbassare di 45 miliardi il suo debito pubblico.

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