mercoledì 6 febbraio 2013

Sul condono i magistrati stanno col Cav

Il condono non è il diavolo e la spesa andava tagliata di più. I magistrati della Corte dei Conti, come già accaduto più volte nell’ultimo anno, continuano a riservare delusioni per Mario Monti.
L’economia italiana viaggia con il freno tirato soprattutto a causa di un fisco eccessivo, «fuori linea» rispetto al contesto europeo, che favorisce «le condizioni per ulteriori effetti recessivi». «E il pericolo di un avvitamento» è legato alle manovre correttive non tanto per la loro «dimensioni», quanto per la loro «composizione».

È questo il quadro tracciato all’inaugurazione dell’anno giudiziario dal presidente, Luigi Giampaolino, che ribadisce con chiarezza un pensiero già espresso in altre occasioni. E cioè che, a differenza di quanto sostengono i teorici della strada obbligata e dei sacrifici inevitabili, rimanendo nei margini dei saldi imposti dalla necessità di risanare i conti pubblici, c’era la possibilità di modulare le manovre in maniera diversa. In altre parole, più tagli di spesa e meno imposte.
Anche perché, ha spiegato nella sua relazione il presidente della Corte dei Conti, «l’asimmetria temporale tra gli effetti restrittivi delle ripetute manovre di riduzione del disavanzo e l’impatto positivo sulla crescita degli interventi di sostegno all’economia e delle riforme genera un equilibrio fragile e una rincorsa incompiuta degli obiettivi di finanza pubblica». Il circolo, insomma, è vizioso ed infinito. Più tasse, più recessione, più dissesto dei conti e, quindi, ancora più tasse. Il tutto mentre «la riduzione dell’incidenza delle spese totali sul pil, resta al di sopra dei livelli pre crisi».

Per spezzare la spirale negativa ecco allora le indicazioni della magistratura contabile al nuovo Parlamento e al nuovo Governo: puntare sui fattori di crescita, ridurre la pressione fiscale, procedere alle dismissioni per abbattere il debito, riequilibrare il rapporto tra entrate e spesa. Il tutto, chiaramente, restando «sul sentiero di risanamento che conduce al pareggio di bilancio». Musica per le orecchie di Silvio Berlusconi, che si è subito accodato all’appello a rivedere i carichi fiscali. «La Corte dei Conti ha confermato quello che io», ha detto il Cavaliere, «continuo con insistenza ad affermare, non si può continuare con l’austerità attraverso l’aumento della tassazione».
Ma l’assist più ghiotto per Berlusconi è arrivato dal procuratore generale, il quale, forse inopinatamente, si è avventurato sul terreno del condono fiscale tombale proposte lunedì dal Cavaliere. Salvatore Nottola ha premesso di non voler dare giudizi sulle scelte politiche, ma poi, a sorpresa, ha spiegato che il condono ha «motivazioni intuitive e fondate: deflazionare il contenzioso e realizzare introiti in tempi rapidi». Una apertura abbastanza chiara, al punto che il procuratore generale in serata si è trovato costretto a precisare di aver parlato a titolo puramente tecnico, senza, dunque, «esprimere nessun avviso favorevole» alle sanatorie fiscali.
Dopo il fisco, l’affondo forse più duro arrivato dalla magistratura contabile è quello contro la corruzione della Pa, che si «annida frequentemente» negli enti e nelle ex municipalizzate.  Sono 5mila gli organismi «privati, (aziende, consorzi, fondazioni, istituzioni, società, ecc.) che, costituiti e partecipati dagli enti locali, gestiscono i loro servizi». Il procuratore Nottola quantifica in 34 miliardi di euro il loro indebitamento e fa notare che su Comuni, Regioni e Province comunque gravano «le conseguenze dannose di una gestione disavveduta o di comportamenti illeciti, a volte anche delittuosi» delle società. Anche se, in fondo, «tra enti partecipati e amministrazioni di riferimento si creano a volte scambi di utilità».

Sul «delicato tema» della finanza derivata, ha spiegato la Corte, numerose regioni, province, comuni, specie di grandi dimensioni, a partire dal 1996, «hanno iniziato a far ricorso a questo strumento per operazioni di ristrutturazione dell’indebitamento o per contrarre nuovi debiti». Ma l’utilizzo dei prodotti derivati è stato «ampio» anche da parte delle amministrazioni centrali dello Stato, a partire dagli anni ’90. E la Corte dei conti ha richiamato l’attenzione sulle «possibili ripercussioni sui conti pubblici». Considerato che il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana, fino all’aprile del 2012, ammontava a circa 160 miliardi, a fronte di titoli in circolazione, a gennaio 2012, per 1.624 miliardi.

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