mercoledì 6 febbraio 2013

La vera agenda del Pd: alzare le tasse sui capitalia

Dal Pd al Pdf. Impantanato in una campagna elettorale che non decolla e che, anzi, se è vero quello che dicono i sondaggi, sta registrando un’erosione di consensi, Pierluigi Bersani ha deciso di passare al contrattacco attraverso un piano di indottrinamento della base. Tutto chiaramente in una logica 2.0 all’insegna delle nuove tecnologie. Al posto degli anti-ecologici fogli un bel file Pdf, da aprire sul pc, sullo smartphone o sul tablet, ed eventualmente stampare. Al posto del vecchio programma delle moderne Faq, che non è una brutta parola, ma l’acronimo di Frequently asked questions, ovvero le risposte alle domande più frequenti. In altre parole, quello inviato ieri a tutti i circoli territoriali è un manuale di sopravvivenza elettorale: come cavarsela di fonte all’intervistatore di turno senza fare brutta figura o, peggio, farla fare al Partito. Ma è anche una sorta di agenda Bersani in pillole, da diffondere per tentare di riacciuffare le posizioni perse nelle ultime settimane.

Lavoro, giustizia, imprese, scuola, donne, Europa, fisco, conti pubblici: i temi toccati sono tantissimi. E le risposte confezionate dagli esperti di comunicazione del Pd sono un piccolo capolavoro di vaghezza e dissimulazione. Roba da fare invidia al tanto deriso kit inviato ai candidati di Forza Italia nel lontano 1994. Il problema di fondo è che il Pd non ha un vero e proprio programma. Come si legge nella premessa, «tre assemblee nazionali hanno approvato numerosi documenti sui diversi temi, numerose conferenze tematiche hanno varato proposte e iniziative, i dipartimenti hanno prodotto due Piani Nazionali per le Riforme presentati in Parlamento e a Bruxelles». Da questo mare di fonti, spesso non coordinate né coerenti, nasce la difficile sintesi raccolta nelle Faq. Complicato andare al di là dello slogan. Sulla legge Fornero, ad esempio, la risposta consigliata da Bersani è: «Non vogliamo toccare la riforma dell’articolo 18 nella formulazione alla tedesca (che non viene spiegata, ndr). Vanno viste meglio le norme per garantire l’ingresso dei giovani al lavoro e per ridurre la precarietà».

Ma su alcuni punti l’agenda Bersani 2.0, pur nella sua vaghezza, non riesce a nascondere i reali progetti del Pd di governo. A partire dalla patrimoniale. Alla domanda diretta la prima parte della risposta è difensiva e interlocutoria: «Noi non proponiamo interventi generali sul patrimonio». Subito dopo, però, si legge che «per le ricchezze di tipo mobiliare è importante la trasparenza e la tracciabilità». E questo perché «è decisivo sapere davvero dove sono i redditi e la ricchezza per rendere gestibile qualsiasi ipotesi di ogni eventuale contributo dei più abbienti per l’accesso ai servizi». E l’ipotesi di un eventuale contributo, leggasi stangata sui patrimoni, arriva qualche riga sotto, dove la domanda è: «volete abbassare le imposte?». Ed ecco la risposta: «Le imposte oggi pesano troppo su lavoro e impresa e troppo poco sulla rendita. Prevediamo di riequilibrare il prelievo fiscale sui redditi da lavoro, autonomo e dipendente, e sugli investimenti. L’obiettivo è di rendere più redditizio l’impegno nell’economia reale e che da occupazione, rispetto alle posizioni di rendita». La linea, in altre parole, è tracciata. Sull’Imu non ci sono grandi novità, il manuale bersaniano ribadisce l’ipotesi di evitare il pagamento per le prime case fino a 400-500 euro di imposta e di compensare lo sgravio con un aggravio a partire dagli immobili che abbiano un valore catastale superiore al milione e mezzo. La sopresa è invece sulla Svizzera, dove il Pd, pur dicendosi contrario ad «un sostanziale condono», ammette che «l’accordo fiscale va ricercato».

Abbastanza chiara la posizione sulla Pa. La premessa è eloquente: «In rapporto al Pil, in Italia spesa e personale della Pubblica amministrazione sono in linea con gli standard europei». Insomma, i tagli non servono. Più che a ridurre la la spesa, «il Pd punta all’efficacia e alla produzione dei beni comuni essenziali». La chicca finale è rappresentata dalle due «stelle polari: senza la Pa non si può (collaborazione), ma con questa Pa non si può (cambiamento)».
Quanto al  fiscal compact, si garantiscono gli impegni presi in Europa, compreso il pareggio di bilancio nel 2013, ma si punta a stabilire nuovi accordi con gli altri paesi Ue per garantire un più «stringente controllo reciproco sui bilanci pubblici», salvaguardando la meta finale che comunque resta quella degli «Stati Uniti d’Europa». Per rilanciare la politica industriale, infine, si deve giocare la carta della «sostenibilità ambientale» e della «green economy».

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