giovedì 21 febbraio 2013

Pronta la "banca spazzatura" italiana

Conferire tutti gli asset tossici ad una società veicolo per ripulire i bilanci. Quello che potrebbe banalmente sembrare qualcosa di simile a mettere la polvere sotto il tappeto in gergo tecnico si chiama bad bank ed è il progetto a cui stanno seriamente pensando le banche italiane per disfarsi delle cosiddette sofferenze, ovvero crediti incagliati e inesigibili, prestiti che le famiglie colpite dalla crisi non riescono a restituire. «Quando ci sarà una proposta saremo pronti a prenderla in esame», ha detto un paio di giorni fa l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni, aprendo di fatto al piano ad uno studio sul tavolo di Mediobanca.

Di dare vita ad una sorta di discarica in cui gettare tutti i rifiuti in pancia agli istituti di credito in cambio di liquidità fresca si parla da diversi mesi. Anche perché le sofferenze delle banche italiane continuano a crescere a dismisura. Secondo l’ultimo bollettino dell’Abi a dicembre hanno raggiunto la quota record di 125 miliardi, 3,1 in più rispetto a novembre e 17,8 in più rispetto al 2011, con un rialzo su base annua del 16,6%.
Ed è su queste cifre che si incardina l’analisi (e la proposta) dell’ufficio londinese di Mediobanca, secondo cui le prime 10 banche italiane potrebbero aver bisogno di altri 22 miliardi per tamponare le perdite provocato dall’aumento dei crediti dubbi. Le sofferenze bancarie, secondo lo studio della filiale di Piazzetta Cuccia, hanno raggiunto nel nostro Paese l’85% dei mezzi propri contro una media europea del 40%.

Non solo. Mediamente le prime 8 banche italiane accantonavano in bilancio come copertura nel 2008 il 60,7% del credito a rischio. Ora la percentuale è scesa al 49,9%, con differenze vistose tra i vari istituti. Intesa, UniCredit e Mps hanno tenuto il tasso di tra il 55%  e il 60,5%, mentre altre banche, come il Banco Popolare o Ubi, mettono a riserva rispettivamente solo il 36,4% e il 41,5% dell’asset tossico.
Se il sistema del credito dovesse aumentare gli accantonamenti, il risultato sarebbe devastante per i bilanci. Secondo uno studio di AlixPartners se le banche svalutassero correttamente i crediti dubbi, incasserebbero perdite nei bilanci per complessivi 23 miliardi di euro. Se, ad aggravare la situazione, si aggiungesse il possibile calo del mercato immobiliare, le perdite arriverebbero addirittura a 32 miliardi.

Ed ecco allora l’idea della bad bank. Un’operazione simile è stata appena varata in Spagna, con la creazione della Sociedad de Gestión de Activos Procedentes de la Reestructuración Bancaria, in una parola Sareb. La società nata lo scorso dicembre su stimolo (pressante) di Bce e Commissione Ue ha una prospettiva di vita di 15 anni. Periodo entro il quale la Sareb dovrebbe essere in grado di assorbire fino a 90 miliardi di asset deteriorati che saranno poi ricollocati sul mercato con nuove garanzie. Le banche riceveranno in cambio una sorta di bond che potranno utilizzare come certificazione per prelevare liquidità alla Bce. Dov’è il trucco? Il trucco, almeno in Spagna, sta nel ruolo dello Stato, che è gestore e garante dell’operazione, con i soldi, inutile dirlo, dei contribuenti. La Sareb nasce, infatti, come società pubblica che gradualmente si apre all’ingresso dei privati. Per ora hanno già aderito, oltre a 5 banche spagnole, Deutsche Bank, Barclays, Axa, Zurich e le nostre Generali. Ma la maggioranza del veicolo resta in mano allo Stato. A fronte di questo sostegno (e della conseguente redditività dell’operazione) le banche hanno accettato svalutazioni degli asset tossici conferiti tra il 46 e il 63%. Ghizzoni assicura che la nostra bad bank non sarà sul modello spagnolo, ma interna al sistema bancario. I dubbi sono leciti.

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