Mentre Angela Merkel festeggia il super euro (ma incassa il flop dell’asta sui bund), da Bruxelles arriva il via libera alla’arma finale per il commissariamento degli Stati membri. Il Parlamento europeo e i governi hanno raggiunto ieri l’accordo sul cosiddetto «two pack», le nuove regole che rafforzano il coordinamento delle politiche di bilancio. Tra i nuovi poteri concessi alla Commissione Ue ci sarà anche quello di «imporre» modifiche alle manovre di bilancio dei singoli Paesi. In altre parole, oltre a quello che avviene già ora, con il visto obbligatorio di Bruxelles sugli obiettivi di risanamento previsti dalle politiche economiche pluriennali, l’Europa potrà anche mettere il becco nei singoli provvedimenti decidendo dove e come intervenire.
Se la semplice supervisione Ue ci ha portato in omaggio negli ultimi anni una stangata dietro l’altra è difficile prevedere cosa potrà accadere in futuro. A parziale compensazione del commissariamento di fatto dei governi nazionali, il Parlamento europeo è riuscito ad infilare nell’accordo una serie di emendamenti per fare in modo che la nuova stretta sulla governance tenga almeno conto degli sforzi già fatti e non aggravi quindi le richieste su bilanci già falcidiati. «Bisogna assicurare», hanno spiegato dal Parlamento Ue, «che i tagli non vengano fatti a discapito di investimenti con potenziale di crescita». Agli Stati verrà chiesto di dettagliare quali investimenti siano destinati allo sviluppo e alla occupazione, mentre «la riduzione dei deficit dovrà essere applicata in modo più flessibile in circostanze eccezionali o in condizioni di andamento molto negativo dell’economia».
Entro l’estate la Commissione europea definirà inoltre gli orientamenti per tenere conto dei programmi di investimento straordinari con un impatto positivo sulla sostenibilità delle finanze pubbliche nel momento in cui vengono valutati gli impegni di bilancio. Si tratta dell’applicazione soft e parziale del principio dell’esclusione dal deficit delle spese per investimenti dai conti di Maastricht.
Intanto, a Berlino hanno dovuto fare i conti con una imprevista impennata dei tassi di interesse. La Germania ha infatti collocato Bund decennali per 4,04 miliardi, con un rendimento medio salito all’1,66 dall’1,56% di gennaio, ai massimi dallo scorso aprile. Sarà anche per questo che Angela Merkel ha voluto stoppare il dibattito su una possibile svalutazione dell’euro (chiesta a gran voce dal premier francese Francois Holland), spiegando che l’attuale cambio di 1,3 sul dollaro «appartiene alla normalità nella storia della valuta unica».
L’osservazione non fa una grinza, se si pensa che la Germania ha chiuso il 2012 con un bilancio commerciale a 188 miliardi, il secondo dato più alto dal 1950, rispetto ai circa 10 miliardi incassati dall’Italia. La realtà, come spiegato da un recente studio dell’insospettabile Deutsche Bank, è che l’economia italiana è in grado di sopportare al massimo un cambio contro il dollaro di 1,17, mentre la Francia potrebbe arrivare ad 1,24. La Germania invece sta molto tranquilla fino ad una quota di 1,54, ma con una maggiore ripresa della domanda, potrebbe reggere anche una rivalutazione dell’euro fino a 1,94 sul dollaro. Lo studio dell’istituto tedesco è volto a sottolineare la maggiore competitività di Berlino sulle economie europee, ma il verdetto può essere letto anche da altre angolazioni. Con un cambio a 1,35, spiegano gli esperti, le distanze tra la Germania e i Paesi periferici non potranno che aumentare.
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