giovedì 30 settembre 2010

Tremonti pensa positivo. Ma parte il pressing Ue

Arriva in sordina il nuovo Dpef, portato sul tavolo del Consiglio dei ministri a poche ore dall’attesissimo voto di fiducia alla Camera (finito con 342 voti favorevoli) sulle dichiarazioni programmatiche di Silvio Berlusconi. Ma è solo una coincidenza. I numeri sullo stato dell’economia messi nero su bianco da Giulio Tremonti nella Dfp (la Decisione di finanza pubblica che ha sostituito il Dpef) non disegnano infatti scenari preoccupanti, previsioni da tenere lontano dei riflettori. Anzi, il titolare di Via XX Settembre prosegue dritto per la sua strada, confermando sostanzialmente le stime già elaborate a maggio nella Relazione unificata (Ruef). Il che significa, in sintesi, che salvo sorprese non ci sono all’orizzonte interventi correttivi o manovrine aggiuntive. Come del resto sempre smentito categoricamente da Tremonti.


Qualche novità, però, c’è. Per quest’anno il ministro è addirittura ottimista. Rispetto ad un prudente +1% il pil per il 2010 è previsto in crescita dell’1,2 per cento. Ma sul 2011 Tremonti ha dovuto ammettere quello che Confindustria e molti organismi internazionali vanno dicendo da tempo. E cioè che la ripartenza del nostro Paese sarà lenta e complicata. Di qui la decisione di abbassare le stime di crescita dal precedente +1,5% ad un più cauto 1,3 per cento. Di fatto, questo significa che per assistere al cambio di passo bisognerà aspettare il 2012 (+2%). Un’attesa che rischia di pesare più del dovuto sull’economia del Paese, visto che il resto d’Europa viaggerà a velocità molto più sostenuta. La frenata viene confermata anche dai consumi, che resteranno deboli quest’anno e il prossimo (+0,5% e +0,8%) per poi ripartire nel 2012 (+1,7%).
Ma i numeri su cui si dovrà concentrare il governo nei prossimi mesi sono altri. Soprattutto se i governi ratificheranno le modifiche al patto di stabilità varate ieri da Bruxelles. Già, perché tra i ritocchini effettuati da Tremonti nella Dfp c’è quello sul debito, rivisto al rialzo nel 2010 al 118,5% (rispetto al 118,4% della Ruef) e nel 2012 al 119,2% (rispetto al 118,7%). La montagna, a differenza del deficit che dall’attuale 5% scenderà al 3,9% nel 2011 e al 2,7% l’anno successivo, inizierà a diminuire di volume solo a partire dal 2012 (117,5%).
Un quadro in deciso contrasto con la stretta approvata ieri dall’Europa. «Incoraggio il governo italiano», ha detto il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, «a ridurre il deficit e il debito pubblico rapidamente e in maniera soddisfacente, perché ciò è essenziale per tornare ad una crescita sostenibile».
Al di là delle chiacchiere, se le nuove norme diventeranno operative l’Italia dovrà davvero rimboccarsi le maniche. La riforma del Patto, ha spiegato sempre Rehn, costerà all’Italia «una somma molto significativa, perché il livello del debito pubblico è molto elevato».
La sostanza del pacchetto votato ieri dalla Commissione, come ha spiegato il presidente José Manuel Barroso, è che d’ora in poi «deficit e debiti pubblici verranno trattati allo stesso modo». In pratica, sarà possibile aprire una procedura d’infrazione anche per i Paesi con l’indebitamento sopra la soglia massima prevista del 60%. La riforma prevede un periodo di adeguamento di tre anni dall’entrata in vigore delle norme. Ma in quell’arco di tempo l’obbligo sarà di ridurre almeno di un ventesimo il debito eccessivo, cosa che per l’italia potrebbe significare una salasso di oltre 40 miliardi l’anno. A favore del nostro Paese giocherà però il correttivo fortemente voluto da Tremonti sull’inserimento del debito privato nella valutazione complessiva. Un fattore che, se considerato, ci riporta più o meno in linea con l’Europa.

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