lunedì 6 settembre 2010

Draghi segue Trichet e pompa la ripresa

La ripresa c’è, ma è debole. E se l’Italia non prenderà lezioni dalla Merkel rischia di restare a piedi. Mario Draghi è dall’altra parte del mondo, ma le sue parole rimbalzano subito da Seul a Cernobbio, monopolizzando il dibattito della prima giornata di lavori del tradizionale workshop Ambrosetti. Le parole del governatore, del resto, arrivano all’indomani dei dati diffusi da Eurostat che, pur nel generale ottimismo espresso dal numero uno della Bce Jean Claude Trichet sulla ripresa del Vecchio continente, hanno certificato la lentezza della ripartenza italiana (pil a +0,4% nel secondo trimestre) rispetto a quella tedesca (pil a +2,2%).
Ma è soprattutto il contesto interno a rendere più pungente l’analisi di Draghi. Non tanto l’invito del Quirinale sulla necessità di portare avanti una seria politica industriale, che campeggia sulle prime pagine dei giornali, quanto l’affaire Pomigliano e la Fabbrica di Sergio Marchionne. Già, perché l’allarme del governatore proprio lì va a parare, sul deficit di produttività e competitività che non permette al sistema Italia di stare sul mercato. È questo il tema, al di là del polverone sui tre operai di Melfi, posto dall’ad della Fiat, ed è questo il tema sollevato da Draghi.
Partecipando, in qualità di presidente del Financial stability board a un incontro con il governo della Corea del Sud, dove si terrà il G20 di novembre, il governatore ha parlato di una «ripresa che c’è, ma è debole» e su cui è giusto esprimere «un cautissimo ottimismo». Draghi, vede un’economia in Eurolandia che ha Berlino per protagonista, «con i Paesi del Sud più lenti di quelli del Nord», e con l’Italia cui può giovare una sola ricetta: per crescere di più «deve diventare produttiva e competitiva come la Germania». In altre parole, deve seguire la strada delle riforme volute dal Cancelliere Angela Merkel in materia di lavoro e fisco. Riforme che hanno dato la spinta alla ripresa economica tornata a crescere a gran ritmo nell’ultimo trimestre. Perché, spiega il governatore, se è vero che i Paesi dell’area dell’euro beneficiano «della domanda mondiale» e la ripresa «comincia a essere sostenuta dalla crescita dei consumi e degli investimenti in Germania», la congiuntura è però ancora «fragile» e siamo di fronte a «una crescita che nel resto di Eurolandia non è sostenuta ed equilibrata».
Non è la prima volta che il governatore punta il dito sulla farraginosità dell’industria italiana. Basta guardare l’ultima relazione annuale di Bankitalia per trovare la tabella Eurostat che certifica non solo il calo della produttività italiana per ore di lavoro nel 2009 al di sotto dei livelli del 2000, ma soprattutto l’impietoso confronto con l’Europa. Nel periodo di crescita pre-crisi, si legge nel documento di Via Nazionale, la produttività del lavoro dell’Italia è salita solo dell’1% contro il 10% della Francia e il 12% della Germania. Anche considerando alcuni fattori come l’economia sommersa o la delocalizzazione all’estero di parte della produzione, spiega Bankitalia, «la performance di crescita dell’Italia rimane peggiore di quella della maggior parte dei principali paesi sviluppati». Fra i provvedimenti necessari per invertire la tendenza e allinearsi ai principali paesi europei, l’istituto centrale indica «il rafforzamento del processo di ristrutturazione del sistema produttivo e la riallocazione delle risorse verso settori e imprese con maggior potenziale di espansione».
L’appello di Draghi è stato accolto con grande entusiasmo a Cernobbio. «Per stare tutti nell’euro siamo tutti costretti a diventare più simili alla Germania, è una strada obbligata», ha spiegato il direttore generale di Viale dell’Astronomia, Giampaolo Galli. Anche il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, condivide l’invito lanciato dal governatore. «La Germania», ha detto, «ha recuperato bene, ha continuato a investire in ricerca e sviluppo, ha sfornato prodotti innovativi e ha incrementato le esportazioni». Si tratta della «medicina che ogni Paese prenderebbe, solo che noi stiamo qui a litigare sulla medicina mentre loro già beneficiano degli effetti».
E la ricetta trova sostenitori anche tra banchieri come il ceo di Intesa, Corrado Passera, o manager come il presidente di Telecom, Gabriele Galateri. Mentre per il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, «l’Italia ha fatto molto contro la crisi ed è stato il paese più prossimo alla Germania dal punto di vista della disciplina di bilancio». 

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