Buone notizie per Giulio Tremonti, che proprio in queste ore sta mettendo a punto la nuova versione del Dpef, ovvero lo Schema di decisione di finanza pubblica la cui scadenza è prevista per domani. A pochi giorni dalle fosche previsioni dell’Ocse, che anche ieri ha ribadito le preoccupazioni sul nostro Paese, il ministro ha incassato i dati positivi dell’Istat sull’andamento del secondo trimestre e il miglioramento delle stime di Bruxelles. Secondo la Commissione Ue l’Italia è in grado di chiudere l’anno con una crescita dell’1,1% rispetto ad uno 0,8% previsto in precedenza. Un risultato su cui, va riconosciuto, il titolare dell’Economia ha sempre scommesso, malgrado il pessimismo diffuso a piene mani nei primi mesi dell’anno dai principali organismi internazionali.
La situazione, chiaramente, non è tutta rose e fiori. La ripartenza dell’Italia si associa infatti ad una ripresa complessiva del Vecchio continente, dove c’è chi viaggia a velocità molto più sostenute della nostra. In base alle nuove stime diffuse ieri dalla Commissione Ue, a guidare il gruppo di testa c’è sempre la Germania, che, nonostante la persistente debolezza del sistema bancario, dovrebbe chiudere l’anno con un Pil in aumento del 3,4%. Stessa crescita è prevista per la Polonia. Seguono, su ritmi più contenuti, l’Olanda all’1,9%, il Regno Unito all’1,7% e la Francia all’1,6%. Dietro di noi rimane la Spagna, che non riesce ad uscire dal pantano della recessione e dovrebbe chiudere il 2010 a -0,3%. Per l’intera Unione le stime sono quasi raddoppiate, passando dall’1% previsto a maggio ad un robusto 1,8%. La crescita non dovrebbe pompare più di tanto l’inflazione, che Bruxelles ha rivisto al ribasso. Nell’Eurozona si attesterà all’1,4% rispetto all’1,5% previsto, mentre per l’Italia il dato scende dall’1,8% all’1,6%.
Le stime, come si diceva, convincono poco l’Ocse, che ci inserisce nel gruppo di Paesi dove «ci sono segnali più forti di un passo più lento della crescita nei prossimi mesi». La conferma arriverebbe dalla flessione del superindice di luglio, che vede l’Italia arretrare di 0,2 punti rispetto al mese precedente (+3,5 sul 2009).
Di «grande incertezza» ha parlato anche il Commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn. Pur ritenendo che «l’economia europea sia chiaramente sulla via della ripresa, in maniera più forte di quanto previsto a primavera», per Rehn questa ripresa «resta fragile». Di qui l’invito a restare in guardia sul fronte della stabilità finanziaria e della solidità fiscale. E accanto al solito appello alle riforme strutturali, il Commissario rivolge anche una raccomandazione specifica all’Italia per ribadire, se ancora per qualcuno non fosse chiaro dopo le ramanzine di Bankitalia e Bce, i rischi legati al deficit di produttività del Paese. Il nostro Paese, secondo Rehn, «beneficia meno dell’aumento del commercio globale anche per la perdita di competitività accumulatasi nell’ultimo decennio». Inoltre, «la fragilità del mercato del lavoro» non fa decollare i consumi privati. Ecco perché Roma deve compiere «sforzi costanti» per completare le riforme «essenziali per creare più competitività e più occupazione». Per aumentare la produttività Rehn auspica anche una maggiore «moderazione salariale». Analisi condivisa dai sindacalisti Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil), che però ragionano diversamente sulla cura. Con la moderazione si fa poco, spiegano, «visto che ancora siamo nella trappola di bassi salari-bassa produttività». Serve piuttosto, sostengono i due segretari, «diminuire le tasse sui salari da accompagnare ad accordi sulla produttività in stile Pomigliano».
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