venerdì 3 maggio 2013

Per rispettare gli obblighi europei pagheremo 250 miliardi in 5 anni

Duecentocinquanta miliardi di euro. È questo il regalino che ci arriva dall’Europa per i prossimi cinque anni. La cifra può sembrare mostruosa, ma la realtà è che si tratta di una stima al ribasso. Il cambiamento di alcune variabili macroeconomiche e degli accordi stipulati in sede internazionale potrebbe infatti far lievitare ulteriormente l’impatto sui nostri conti pubblici degli impegni con Bruxelles. La stangata micidiale è il frutto del combinato disposto dei patti sottoscritti dal governo e ratificati dal Parlamento italiano relativi al programma di aiuti Ue, all’accordo Euro Plus, al Six Pack e al Fiscal Compact. Una raffica di vincoli rafforzata dall’inserimento in Costituzione dell’obbligo di equilibrio strutturale di bilancio.


 Il colpo più duro è sicuramente quello che arriverà dal Fiscal compact. La tagliola scatterà dal 2015. A partire da quell’anno tutti i Paesi che hanno un rapporto debito/pil sopra il 60% dovranno impegnarsi a raggiungere quella soglia nell’arco di 20 anni tagliando lo stock di indebitamento di un ventesimo all’anno. Per noi, significherebbe portare il debito dagli attuali 2.017 miliardi a circa 900 con sforbiciate di almeno 45 miliardi l’anno.
Ad appesantire il debito, nel frattempo, ci penserà l’altro grande accordo siglato in sede europea, quello per salvare i Paesi schiacciati dalla crisi.

A febbraio 2013, secondo i calcoli effettuati dalla Banca d’Italia, il nostro Paese ha già sborsato 43,7 miliardi di euro. Si tratta dell’ammontare complessivo dei sostegni, comprensivi della quota di competenza dell’Italia dei prestiti erogati dall’Efsf, ossia la European Financial Stability Facility, dei prestiti in favore di Stati membri dell’Uem erogati bilateralmente e del contributo al capitale dell’Esm (European Stability Mechanism). Il salasso, però, non è affatto finito. Le tre voci continueranno a pesare anche nei prossimi anni. E non poco. L’impatto stimato dal governo nel Documento di economia e finanze per il 2013 e 2014 (comprensivo, però, anche degli effetti della liquidazione dei debiti commerciali della Pa) è rispettivamente dell’1,9 e dell’1,6% del Pil. Si tratta, dunque, di 31,5 miliardi e 24 miliardi. Non è escluso che l’impqatto sul debito proseguirà anche negli anni successivi. L’Italia, infatti, deve ancora saldare una quota di circa 5 miliardi per gli aiuti alla Grecia. Mentre per riempire il nuovo fondo Esm (700 miliardi di liquidità garantita di cui 80 versati immediatamente) l’Italia dovrà partecipare con una quota di 17 miliardi a garanzia di 125 miliardi.
Si arriva, infine, al pareggio di bilancio strutturale. Il conto è salato anche qui.

Soprattutto considerato il giochino portato avanti dal governo tecnico nell’ultimo anno, che nelle stime economiche dei prossimi anni, calcolate a legislazione vigente, ha evitato di mettere in conto che l’Imu sperimentale finisce per legge nel 2014, provocando un buco di bilancio annuale dal 2015 di circa 12 miliardi l’anno. Anche confermando la superpatrimoniale sulla casa, comunque, i vincoli europei costringeranno il governo in carica a rimettere mano ai conti. Le stime contenute nel Documento di economia e finanza varato nelle scorse settimane ed ora all’esame del Parlamento (l’esecutivo ha annunciato novità, ma a saldi invariati) per restare agganciati al pareggio di bilancio strutturale prevedono la necessità di una correzione dello 0,2% del pil (3 miliardi) nel 2015, dello 0,4% (7 miliardi) nel 2016 e dello 0,6% (10 miliardi) nel 2017. In tutto fanno 20 miliardi di manovra aggiuntiva nel nome di Bruxelles. Se calcoliamo anche il fatto che, in mancanza di interventi legislativi, l’imposta sulla casa dal 2015 vedrà decadere le parti relative alla prima abitazione e alla rivalutazione delle rendite, il conto diventa di 13,5 miliardi (0,8% del pil) nel 2015, 18 miliardi (1,2%) nel 2016 e 21 miliardi (1,4%) nel 2017. Si tratta di una stangata di ben 52 miliardi di euro. Il tutto, ovviamente, assumendo come presupposto scontato, quando non lo è affatto, che il denominatore, ovvero il pil, segua il percorso di crescita ipotizzato dall’attuale governo.

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