La tolgono, ce la ridanno, la diminuiscono. Il rischio,
purtroppo, è che alla fine l'Imu la pagheremo lo stesso. E anche più
salata. La questione dell'imposta municipale tiene da mesi gli italiani
con il fiato sospeso. Prima la gara in campagna elettorale a chi la
odiava di più.
Alla fine,
però, è arrivato Enrico Letta, che nel discorso di insediamento alle
Camere, senza pensarci due volte, ha detto chiaro e tondo che a giugno
non si pagherà nulla e poi, forse, si toglierà del tutto.
Problema
risolto? Per nulla. Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, si
sta scervellando da giorni sulle tabelle del bilancio pubblico per
tirare fuori dal cilindro la necessaria copertura. L'intero pacchetto
dell'Imu sulla prima casa vale 4 miliardi di euro su un gettito
complessivo di 23,7 miliardi. Per sospendere la rata di giugno
servirebbero 2 miliardi sull'unghia. Ma il problema è di poco conto.
L'importante, infatti, sarà far quadrare il bilancio a fine anno. Ed è
qui che sorgono i problemi. Le cifre contenute nel Def parlano chiaro:
rinunciare alla quota di entrate sarebbe troppo oneroso per le casse
dello Stato. La stessa Bankitalia, dove fino a qualche giorno fa
Saccomanni faceva il direttore generale, ha insistito sul punto,
difendendo il mantenimento della tassa in un'ottica di stabilità dei
conti. Ecco allora che si fa strada l'ipotesi dell'ennesimo trucco:
mescolare un po' le carte mantenendo il gettito invariato. Anzi, con
l'occasione anche aumentandolo un po'.
Le ipotesi sul
tavolo, per ora, sono tre. La prima, caldeggiata da tempo dal Pd, è
quella di rimodulare le detrazioni per allargare la platea di chi non
dovrà pagare l'imposta fino al 40-50% dei proprietari. Per farlo sarebbe
necessario alzare la soglia della detrazione di base dagli attuali 200
euro a 600 euro. Secondo i calcoli del servizio politiche territoriali
della Uil per ogni 100 euro di detrazione aggiuntiva lo Stato perderebbe
500 milioni. Resta, dunque, il problema di recuperare 2 miliardi di
gettito mancanti, che in qualche modo dovranno essere spalmati sugli
altri contribuenti. Una variante di questa ipotesi è quella proposta dal
sindaco di Roma, Gianni Alemanno, di esentare dal pagamento chi ha un
reddito Isee sotto i 15mila euro (pari a circa 30-35mila euro di reddito
lordo familiare), due figli a carico e un mutuo residuo di circa 30mila
euro. Ma il risultato sarebbe poco attinente con le promesse di Letta
e, soprattutto, con i desideri del Pdl. La seconda soluzione piacerebbe
alla Merkel. Si tratterebbe di trasformare l'Imu in una tassa federale,
sul modello tedesco, che sia legata alla rivalutazione delle rendite
castali e gestita interamente dai Comuni o, in alternativa, dalle
Regioni. In questo caso, però, occorrerebbe riformare il catasto, cosa
impossibile da farsi in tempi stretti.
L'ipotesi per
ora più gettonata è la terza. E cioè quella di rivedere tutto il sistema
della tassazione sulla casa e sui servizi sostituendola con una imposta
nuova di zecca: la service tax alla francese. Si tratta, ovviamente,
della soluzione più insidiosa. La nuova tassa incorporerebbe infatti
anche la Tares (la nuova imposta sui rifiuti e i servizi comunali che
unifica Tarsu e Tia) e non sarebbe più destinata ai soli proprietari di
casa, ma a tutti coloro che detengono o occupano a qualsiasi titolo un
immobile o una superficie operativa. Sulla carta è l'Uovo di Colombo.
L'Imu sulla prima casa non c'è più e il gettito è salvo. Il rischio,
però, è che per gli italiani il conto non solo non diminuisca, ma
addirittura salga. L'Ics (Imposta case e servizi) a cui sta lavorando
Saccomani, infatti, si porterebbe in dote anche il miliardo aggiuntivo
previsto dalla Tares più il gettito attuale di Tarsu e Tia (7 miliardi).
Complessivamente si tratta di 8 miliardi, che si andranno a sommare ai 4
dell'Imu. Poi, come è successo per quest'ultima, può capitare che il
gettito reale (23,7 miliardi) risulti più alto di quello stimato dal
governo (21 miliardi). In altre parole, pagheremo tutti e pagheremo di
più.
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