Tartassati e mazziati. Ieri Giorgio Squinzi è tornato a lanciare l’allarme sulla crisi del Settentrione. «In Italia», ha detto il leader di Confindustria, «abbiamo una questione meridionale seria, ma abbiamo anche un Nord che ha rallentato. I suicidi degli imprenditori sono concentrati essenzialmente al Nord, in modo particolare nel Veneto una delle regioni che si è trasformata di più nel dopoguerra». Lo sa bene il governatore Luca Zaia, che ieri, dalle pagine del Corriere della Sera, si è schierato senza esitazione al fianco di Squinzi. «Finalmente», ha detto il governatore del Veneto, «qualcuno che parla chiaro: non c’è sviluppo senza il Nord, non ci sarà nuovo lavoro e reddito se non si toglieranno di mezzo i vincoli, le leggi, i gravami fiscali e contributivi che impediscono di fare impresa».
Ma se Squinzi tocca le corde, drammatiche, della disperazione e Zaia chiede meno tasse, Roberto Maroni va invece giù duro sulle responsabilità politiche dello Stato centrale, prendendosela direttamente con Enrico Letta. «2 miliardi alle regioni sprecone del Sud, zero euro alle imprese del Nord e agli esodati. Solita italica vergogna», ha scritto il governatore della Lombardia su Twitter in riferimento allo sblocco dei fondi per la sanità. Esternazione che ha urtato immediatamente la suscettibilità del suo omologo della Regione Puglia. «Penso che Maroni sia troppo intelligente per credere a quello che dice, in questo caso», ha replicato il governatore Nichi Vendola.
Eppure, che a trascinare verso il baratro la parte produttiva del Paese ci siano anche gli squilibri delle politiche fiscali e redistributive tra Nord e Sud lo dicono i numeri. Per avere un’idea del rapporto dare-avere che i cittadini italiani hanno con la pubblica amministrazione bisogna andare a vedere quei valori che cadono sotto la voce di residuo fiscale. L’indicatore non è molto in voga nelle rilevazioni ufficiali. Non compare nei documenti del ministero dell’Economia, né in quelli della Banca d’Italia o dell’Istat. È, però, il dato che riesce a fotografare con il miglior grado di approssimazione quanto delle risorse sborsate dai cittadini attraverso le tasse torna poi indietro sotto forma di servizi, investimenti e assistenza. Il calcolo non è complicato: si tratta di fare la differenza tra le entrate correnti della Pubblica amministrazione e le uscite al netto del servizio del debito. La fonte più attendibile è l’ufficio studi di Unioncamere Veneto, che dal 2006 elabora il residuo fiscale delle singole regioni per ogni anno di bilancio. I risultati sono impressionanti.
Nel periodo 2008-2010 (ultimi dati disponibili) il residuo fiscale pro-capite di un cittadino lombardo è stato di 6.234 euro (soldi in più dati alla collettività), quello di un calabrese -2.881 euro (soldi in più incassati rispetto a quelli pagati allo Stato). Tra i due estremi c’è tutto lo Stivale. Con una geografia, però, ben definita. Il residuo fiscale attivo (con le uniche eccezioni delle regioni a statuto speciale Valle d’Aosta e Trentino) si ferma al Lazio. Da lì in giù i valori hanno tutti il segno meno davanti. Con la Sardegna (-2.496), il Molise (-2.487) e la Basilicata (-2.310) che seguono a ruota la Calabria. Poco più sotto troviamo lqa Sicilia (-1.979), la Puglia (-1.379) e la Campania (-1.336). I numeri aggregati forniscono un quadro ancora più chiaro. La Lombardia da sola ha un residuo fiscale attivo di 61,82 miliardi. Mettendo insieme tutte le regioni del Nord (Toscana esclusa) si arriva alla cifra di 104,4 miliardi. Soldi che ogni anno finiscono dalle tasche dei cittadini alla collettività generale. E che in buona parte finiscono nelle casse delle Regioni del Mezzogiorno. Togliendo gli attivi di Toscana, Marche e Lazio, il Centro-Sud incassa infatti ogni anno oltre 36 miliardi in più rispetto a quello che versa.
A trasformare il danno in una vera e propria beffa c’è, infine, il peso del fisco. Da uno studio della Cgia di Mestre riferito ai tributi pagati nel 2010 emerge che, Lazio a parte, dove il deficit sanitario ha fatto schizzare alle stelle le addizionali, le tasse locali pesano molto più al Nord che al Sud. Rispetto ad una media nazionale di 1.233 euro l’anno, nei comuni lombardi si pagano imposte procapite che oscillano tra i 1.700 e i 1.500 euro. In quelli siciliani e calabresi i valori medi sono di 7-800 euro.
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